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10 Come vide Gradasso d'Agramante cadere il busto dal capo diviso; quel ch'accaduto mai non gli era inante, tremò nel core e si smarrì nel viso; e all'arrivar del cavallier d'Anglante, presago del suo mal, parve conquiso. Per schermo suo partito alcun non prese, quando il colpo mortal sopra gli scese.

Per quello, io, presago nell'animo, dichiarai che, mentre il Governo non avrebbe, operando a quel fine, cosa alcuna da temere da parte nostra, noi ci terremmo liberi, ove esso lo abbandonasse, di seguire le inspirazioni, quali si fossero, della coscienza, avvertendone prima lealmente il Governo stesso. E sciolgo oggi, per ciò che riguarda individualmente me, la promessa.

Rapisco a la donna che siede con gli occhi su l’ago il sogno che ride al suo cuore; il primo suo gemito al bimbo che nasce, presago di pianto, fra il sangue e il dolore;

Il giorno della morte, la mattina stessa. Giacchè bisogna dir tutto, vi dirò perchè mi trovai in quella casa. Sapevo che l'ultima spiegazione doveva avvenire, aspettavo con impazienza che egli me ne riferisse l'esito. Non vedendolo tornare, venni io. Egli esitava ancora, come presago di farle male. Allora gli suggerii di scriverle; quest'idea gli piacque. Eravamo nello studio di lui, credevamo di non essere uditi, quando ella apparve. Disse parole amare, contro di lui, contro di me. Egli se ne sdegnò, dimenticò la piet

In Banche e Parlamento, quasi presago dei futuri avvenimenti, avevo detto che in Sicilia più che altrove era notorio il servilismo della magistratura verso il governo. Tale servilismo nell'isola aveva le sue non nobili ma continuate tradizioni interrotte per un momento dal conflitto Tajani-Medici delle quali il senatore Zini riporta parecchi dati, tra cui impudente una lettera del Procuratore Generale Morena, che parla come della cosa più semplice e corretta di questo mondo «di detenuti, che non sono a disposizione dell'autorit

Si levava il giorno 27 fosco in vista; il sole procedendo cinto intorno di nebbia pareva che presago della strage imminente repugnasse illuminarla: i francesi tuonano con cinquanta cannoni messi in batteria; il casino Savorelli all'incessante tempestare si sfascia; giù il tetto della Chiesa di San Pietro a Montorio, dopo il tetto vacilla il campanile, poi anch'esso giù a pezzi, di cui parte dentro la Chiesa, e parte fuori; la Villa Spada sottosopra; i nostri non isbigottiscono alla bufera, le Batterie undecima, e duodecima del nemico scassinano, ma i Francesi ne hanno drizzate su tante, che ometterne una o due non nuoce; e' ci fu pompa per la parte loro di distruzione, lusso, prodigalit

Rinata la speranza in Garibaldi, pubblicò un ardente manifesto ai Toscani col quale li invitava ad insorgere contro la tirannide domestica e straniera. Ma fu l'illusione di un momento, e presago ormai che nulla più poteva sperare, proseguì il suo fatale cammino.

Giuliano contemplò a lungo la pietra del suo anello, un occhio di gatto cinto da nitidissimi brillantini. La Duchessa pareva contare i punti del suo lavoro in lana, ma il cuore, presago, le batteva, e le sue labbra fino sussurravano qualche cosa all'indirizzo di Nossgnôr! Giuliano accese la sigaretta e disse placidamente: Dov'è?... La Duchessa attonita alzò gli occhi. Cosa?

«Io l'ho trafitto, e pure mio padre mi avea comandato di amarlo: io l'ho trafitto, e pure il grido del mio cuore, più forte di quello di mio padre, mi costringeva ad amarlo! I nostri genitori quando nascemmo c'imposero i loro nomi medesimi, perchè la morte dubitasse di avere dominio sopra l'amicizia delle nostre famiglie; amavano che i secoli maravigliati riputassero i Folcando e i Gostanzo eterni tra i mortali per volere di Dio, onde stessero esempio perenne di questo nobile affetto. Bevemmo nella medesima tazza, riposammo nel medesimo letto, furono i nostri studii, e i nostri sollazzi comuni, e crescemmo stupore degli uomini, e benedetti dal Signore. Quando i nostri padri morirono, le ultime loro parole furono preghiere e consigli, per conservare lo scambievole affetto, ed aggiungevano essere questa la porzione più preziosa del retaggio che ci lasciavano. I nostri campi non ebbero confine, i nostri armenti confusi; volentieri ci saremmo ridotti ad abitare un solo castello, ma per rispetto alle memorie paterne non volevamo fare l'altro deserto: convenimmo dimorare alternamente ora l'uno ora l'altro, e così facemmo. Scorsero anni felici, di cui la rimembranza nell'angoscia presente è tormento più feroce di quello che la vendetta possa desiderare al nemico. Allo improvviso Berardo diventa pensoso, spesso si smarrisce per la foresta, tardi ritorna al castello, per quanto siasi affaticato, può gustare cibo, o bevanda. Tu soffri, amico mio, un giorno gli dissi, ed egli mi rispose: Io amo; gli domandava: Qual donna? Era una santissima fanciulla, figlia di povero Cavaliere, che abitava forse due miglia distante dai nostri castelli. I cuori dei giovani s'erano accesi di scambievole amore, desideravano dirselo, più desideravano renderlo sacro con la religione, ma non osavano, tanto erano verginali quelle due anime innocenti! Io fui quegli che tentai la fanciulla; io, che la chiesi al padre; io, che apparecchiai la festa, e sollecitai il rito; per nulla ne divenni geloso, che ben conosceva lo affetto di moglie essere diverso da quello di amico, e il cuore di Berardo restarmi pur sempre intero. Vi narrerò la gioia dei vassalli, il tripudio degli sposi, l'allegrezza dei parenti, il fragore dei conviti? Io lascio queste cose come non importanti al mio assunto; lascio ancora i bei giorni che tennero dietro a cotesto caso, e narro quelli d'ira e di sangue. La bella sposa ebbe vaghezza di accompagnarci alla caccia, noi la menammo; e desiderosi di preda tanto ci avvolgemmo per la selva, che ormai diventava impossibile di poter giungere avanti vespro al castello. Uscimmo dalla foresta, e c'incamminammo verso una casa, che compariva da lontano in mezzo della pianura. Arrivammo. Un Cavaliere in modo cortese c'invita a entrare; io lo guardo in faccia, e sento turbarmi da non mai più sentito sgomento, che poi a prova ho conosciuto essere un miscuglio d'odio, di disprezzo e di fastidio: volgo il cavallo per fuggire colui che aveva suscitato nella mia anima la sensazione del rettile velenoso; mi rattiene Berardo, e mi forza a seguirlo: entro in quella casa tremando, presago di qualche gran danno; il Cavaliere mi sorride; quel sorriso mi strazia le viscere; abbasso lo sguardo per non vederlo; non parlo, ricuso il cibo, fingo súbito male, e affretto la partenza; per via di tratto in tratto giro la testa sospettoso, come se alcuno m'inseguisse, e prorompo in voci di minaccia: Berardo e Messinella stimano ch'io abbia perduto il senno. Passano alcuni giorni nei quali non vedendo, rammentando il fatale Cavaliere, la calma torna a serenarmi lo spirito. Certa sera, mentre cavalcava a diporto, sento sollevarmisi in mente irresistibile desiderio di tornare al castello; sprono a precipizio il destriero, arrivo, e vedo un cavallo legato nella corte; ascendo le scale, un Cavaliere favellava domesticamente con Messinella, la teneva stretta per mano; ella era pallida, e sembrava spaventata di trovarsi sola con quell'uomo; al rumore dei miei passi costui si volge, troni del cielo! io vedo l'ospite spaventoso. Egli si leva subitamente, mi viene incontro, mi saluta e mi porge la mano; la mia non si mosse, pareami averla incatenata sul fianco; le parole che favellai furono poche, ed amare: accortosi ch'egli era il mal gradito l

E si fermò un momento spiando al di sopra del bosco. Tra i pini scorgevasi qualche lembo di cielo sbiadito, cinereo, uniforme, presago di temporale. Un lampo rapido rosseggiò entro il padiglione dei rami: il vento crebbe. Allora Maometto raddoppiò la corsa.