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Un grido lacera la penombra verde. scatta in piedi, fuori dalla capanna. Chi è che urla così? Bagamoio, dove sei? Bagamoio! Bagamoio! Gira rapidamente intorno alla capanna e si ferma stupito davanti ai corpi di Bagamoio e Lanzirica, stretti in una lotta feroce. Che fai, Bagamoio? Fèrmati! Lanzirica si sottrae agilmente, carponi, alla ferocia di Bagamoio.

I loro volti si contrassero stranamente e un sorriso feroce agitò le loro labbra. Vieni, Elenka, disse d'un tratto Notis, prendendola per mano. La condusse lontana dalle tende, vicina ad una gran sfinge e la fece sedere sopra di un gigantesco tarbusch di pietra che altre volte doveva essere stato un cippo mortuario. Ebbene chiese Elenka con voce che sibilava fra i denti stretti.

Appena però il suo avversario cominciò a marciare contro di lui, il feroce bandito, facendosi scudo del braccio sinistro, gli fu addosso, lasciò sfiorarsi l'antibraccio dal fendente della sciabola, mise la mano sinistra sull'elsa del marchese, e lo colpì, come con clava, sulla cervice.

Allora i peli della barba del principe si agitarono come tante lamprede fuori dell'acqua, e il sorriso cinico si mutò in un ghigno feroce; ma siccome non poteva farla frustare, si rassegnò ad aggiungere all'offerta delle turchine e dei diamanti anche quella della sua mano e della desinenza in off.

Per tal modo i giovani principi, la dinastia di Savoja, la nazione italiana, il principio unificatore, ricevevano ad un punto l'impronta di un oltraggio feroce. È noto come i principi fossero avvertiti a tempo di quanto meditava a loro scorno la Corte papale, e come, cambiando l'itinerario prescritto, evitassero studiosamente la cerchia di Roma e i confini papali.

Gioberti doveva poi tuffarsi nella politica per uscirne più grande tra l'urlo feroce di partiti nemici momentaneamente d'accordo nel maledirlo: Rosmini, compita l'opera enorme, isolato dalla diffidenza del clero, colpito dalla riprovazione di Roma, si spense più tardi nel silenzio tranquillo di un lago.

Guai se t'abbatti in qualche grave maestro, che voglia riscontrare le tue forme sul modulo de' precetti! . Il feroce trarratti per gli orecchi al cospetto delle muse, e domanderá vendetta contro il padre dell'orribile mostro.

Sorge fra tanto oltre ai terreni alberghi Co' crepuscoli al piè la notte amica; E di mille colori ornati e cinti Le si sveglian sul capo astri e pianeti. Malinconica e muta ella riguarda Ai rei travagli de la terra, e spira Le brezze ai fiori, ed ai mortali il sonno. Salve, o splendida notte, inclita madre Di dolcissima quiete, o che ti piaccia Covrir d'ombre pietose amor furtivo, O svelar tutta a uman guardo l'audace Visïone degli astri e l'universa Armonia, che ne fura invido il sole. Da le cupe foreste, ove si aggira Il signor de' miei canti, io chiamo indarno La bellezza dei tuoi Soli e le gemme Dei tuo' cento diademi: a Lui non uno Splende dei raggi tuoi; sol dentro al petto Gli arde la luce de le sue speranze. In compagnia de' suoi fantasmi, a pena Ei de l'ombre s'accorse; e, vòlto il passo Fuor del dritto sentiero, a una deserta Arida balza d'ogni vita priva Era intanto venuto. Irte d'intorno, Come a guardia del loco orrido e scuro, Rupi e monti s'ergean squallidi a guisa Di biancicanti scheletri; fuggía L'ingrato aspetto e s'ascondea la luna Fra le nubi correnti, e imprigionato, Come chiuso leon che tenti un varco, Tra l'aspre rocce ruggía rauco il vento. Ivi l'Eroe si assise. Un'insüeta Punta di fame gli mordea le parche Viscere, e dentro al seno arido e stanco Una brama di vive acque e d'aperto Aere e di luce gli serpea. Sgomento Non però n'ebbe al cor; ma con superbo Animo accolse la terribil prova, Poichè gli è grato comportar travagli Pari a ogni altro vivente, a cui l'amica Forza del pane il mortal corpo allena. Vago di nuovi casi, occhio ei non piega Ad alïar di lusinghevol sonno Da la tacita e grave aere cadente; Ma nel caro pensier volge le prove Dei suoi buoni mortali, e traforate Alpi vagheggia e aperti istmi e volgenti Per lo seno del mar parlanti elettri. Su per l'aride rocce ode in quel punto Come un confuso affaccendarsi e rotto Fruscío di penne e sibilar, che agguaglia Suon che mandi uman labbro e noto segno Di cacciator, quando tra' folti grani, Di cui mareggia interminato il campo, Modula il fischio a ravvïar l'amico. Ma voci eran d'augelli, a cui concessa È una strana virtù: fischiano al vento Siccome uomini veri, e illudon l'alma Di qualche afflitto pellegrin, che, pèrso Ogni spirto di lena e abbandonato D'ogni raggio di speme e di salute, Su l'inospite landa il corpo gitta. Ben al grido fallace a mala pena Sul digiun ventre ei talor sorge; a l'aura Tutta la fuggitiva anima intende, E forse in quel momento al cor gli torna Il dolce aere natío, l'abbandonata Casa paterna e de la madre il pianto. Sorge, aspetta, ricade, si strascina Delirando fra' sassi; a un grido estremo Schiude l'aride labbra, un rauco suono Gli geme entro la gola; adugna e morde L'avara terra; e il ciel rigido intanto Sovra il capo di lui splende e sorride. Così a le disperate anime insulta La beffarda natura! Al suon fallace Sorse l'Eroe, stette in forse. Or tutto Convien, diss'ei, che il mio vigor s'adopri; Arida e morta è questa valle, e segno Di salute non ha; vadasi. E preso L'aspro sentier, non pria l'orme contenne, Che un ampio fiume e la foresta attinse. Chiare e sonanti dirompeano l'acque Fra due tra loro opposti e coronati Di negra selva smisurati monti, Al cui piè si stendea facile e molle D'erbe infinite ed odorose il piano. Piomba il fiume da l'alto, e se tu il miri Biancheggiar da la lunge al cheto sguardo Dei radïanti plenilunî, un'ampia Vela il dirai, che il marinar su' negri Aprici scogli a rasciugar distese; Ma se più ti fai presso, un fragor cupo D'immense acque tu senti; al ciel, conversa In polve minutissima, tu vedi Balzar la ripercossa onda, e in un velo Confonder gli astri ed annebbiar la valle. Quivi l'Eroe non si appressò; ma in parte, Ove men cupe si schiudean le sponde, E avean meno di bosco ombre e paure, La fresca linfa disïando, scese Per la lubrica china; insinuössi Fra' canniferi greti, e ne le cave Palme attingendo i prezïosi umori Ricrëò l'arso petto; ambe ne l'onda Con giocondo piacer le braccia infuse, E battendo le pure acque, più volte Ne spruzzò, ristorando, il volto e il crine. Ma non pria lasciò l'onda, e si rïebbe Del cammin tanto e de l'ingrata arsura, Che un vicino il percosse ululo e un lungo Scoppio di strida e di commosse voci Varie, acute, incessanti. Ad improvvisi Urti crollavan bruscamente i rami De la selva vicina, e quindi e quinci Confusamente saltavan strillando Le aggredite bertucce. Il piè ritrasse Dal margo sdrucciolevole, e a la sponda Lucifero balzò; lo sguardo in giro Mosse esplorando: tenebroso intorno L'aere gemea, mentre due roggi, acuti Punti fendean, come infocati dardi, Sinistramente de la notte il seno. Muti muti pe'l negro aere procedono Or cheti e lenti, or saltellanti e rapidi; Or tra cespugli del sentier s'involano, Or più vicini e più funesti appaiono. Sta Lucifero intento; e, certo omai Che insidiosamente a lui si appressa Il terribil giaguaro (un'omicida Belva, che, a par del tigre agile e grande, Salta agli alberi in cima e a l'onde in seno, E boschi e fiumi d'ogni strage infesta) Tenea l'anima accorta in due sospesa: O che indietro si tragga e si nasconda Nel contiguo canneto; o su l'aperto Sentier l'orrida belva aspetti al passo. Senno miglior questo gli parve; e, tutta Con alato pensier l'alma percorsa E con subito sguardo il loco intorno, A la lotta si accinse. Era in quel punto Tra' fitti rami penetrato un fioco Raggio di luna. Un aspro, arduo macigno, Ivi a caso giacea: dai circostanti Gioghi a valle caduto, una regale Possa parea, cui da' superbi troni Una vendetta popolar sconfisse. A lui corse l'Eroe; con ambe mani L'afferrò, lo levò: le ferree braccia Sovra il capo distese; un dietro a l'altro Pontò i validi piedi, e tal si tenne L'irto mostro aspettando. Orrido un grido Manda la belva, e caccia fuor dagli occhi Sanguinosi baleni: a terra il bianco Ventre ingordo distende; i fulvi arruffa Peli del dorso, e di serpente a guisa Strisciando si divincola. Qual suole Paziente pescador, che, intento a l'amo, Entro a le trasparenti acque del lago Vede a un tratto guizzar cefalo o trota, Quanto più può su' nereggianti sassi Fermo, senza respir tiensi; l'avvezza Destra, che regge la pieghevol canna, Serra validamente, e, vista appena Pullular l'onda e tendersi la lenza, Fuor, con subita stratta, a l'aere avversa Trae, guizzante ne l'amo, argenteo il pesce; Così tutt'occhi e senza voce o moto L'astuto Eroe l'orrenda belva aspetta, Che con feroce voluttade allungasi Su l'erboso sentier, vibra l'accorto Sguardo, e sbuffa così che par che rida. Ma quand'ei stanco d'aspettar l'assalto Tentò un passo impaziente, e scagliar finse L'elevato macigno, urlò, ritrassesi, Il corpo agglomerò, sul ventre osceno Strisciò a ritroso il mostro irto, e qual dardo Si vibrò. Mugulare odi a l'intorno La valle ampia e tremare arbori e rupi, Non però il petto de l'Eroe: di tutto Polso ei sostien l'ampio macigno; al fiero Assalitor fermo l'oppone, e al petto Gliel d

Dimenticavo! Anche vidi lo spaventoso orgoglio d'essere vile e di fuggire, l'orgoglio di non riuscire, l'orgoglio di non essere, l'orgoglio atroce del nulla! Commedia fatale!... Pensare è esser giovane! O gioventù! feroce unit

Costui, pei santi Apostoli, diventò pazzo furioso. Ah! che io lo reputai sempre perverso da far piangere gli Angioli.... Dite piuttosto da far digrignare i denti ai demonii... Ad ogni modo è una belva feroce, e bisognerebbe legarlo.... , bene.... legarlo.... leghiamolo....