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Per coscienza intendo Filinoro dia concorrenza a questo barbassoro. Tenterem, vederemo; a Carlo Mano vo' ragionare; ho degli amici anch'io. Possibil che disutile sia Gano! Voi, Filinor, pregate intanto Iddio. Qui Filinor gli baciava la mano. S'offerser tutti a questo lavorio. Il pranzo era finito e, detto pria l'Agimus tibi gratia, ognun partia. Correan ventitré ore o poco meno.

Il conte Orlando e Dodone e Rinaldo, che la sinceritá non han perduta, uscir dal parlamento ognuno caldo: corrono ad Angelin, che gli saluta. Dicean: Quell'impostore, quel ribaldo di Gano, a questa volta l'ha perduta; e il povero Angelin vanno abbracciando. Piangea per l'allegrezza il conte Orlando.

Gano cosí con inganni e con frode va bucherando a' signor per la terra, e tutti per lo debile prendea, tanto che ognuno il voto promettea.

Ma ciò che piú di tutto fa stupire è che i ragionamenti piú divoti e piú morali e santi in sul garrire, gli accigliamenti a tempeste e tremuoti, il chiamar quelli «giuste celesti ire», il far digiuni, il far proteste e voti, e l'annodar dell'una all'altra mano, fossero azion del traditor di Gano. Non so se i nostri tempi sien diversi; se non lo sono, Dio voglia che siéno.

Carlone, vecchio rimbambito, ascolta; e perch'egli era d'impression gagliarda, appena ebbe Rugger data la volta, chiama il guascon, che un momento non tarda, e disse: Sappi che, se una sol volta andrai dov'è Marfisa, ben ti guarda, io te lo giuro da quel re che sono, che ti farò morir senza perdono. A Gano Filinor racconta il caso.

Il giorno innanzi Ganellone è gito ad un convento detto l'Abbondanza, dov'eran certi frati, che nel core erano col vestito d'un colore. Nel magnifico tempio eletti marmi aveano e arredi di ricchezza immensa. Dicea Gano: Io vi prego a voler farmi l'esposizione in sulla sacra mensa. Suoninsi le campane, ed inni e carmi volino al ciel che a noi tutto dispensa.

Solo ad un certo suo par da gran pezzo il suo disegno palesato avia, ed ottenute lettre di sua mano di raccomandazione al conte Gano.

E giá stendea la man quel luterano con gli occhi chiusi ed un visino onesto; ma volle il caso che Marfisa a un tratto rinvenne, e Gan rimane a mezzo l'atto. Tornata in la dama a poco a poco, languidetta s'andava rassettando; veduto Gano, il viso fe' di foco, e che partan le dame comando. Poi disse al conte: Che di' tu, dappoco? in capo ci ha cacato il conte Orlando.

Giunto Gano, lettor, convien che noti ch'ei volle a' frati levare il mantello, dicendo che indulgenza era a far quello. Poi, detto il Benedicite in tuon basso, cominciasi a mangiare alla papale. Diceva Gano a Berta a questo passo: Avete voi spedite allo spedale quelle camicie rotte, e broda in chiasso a' pover di contrada, che stan male?

Filinor, ch'è golpon, tosto s'avvede di qual umor sia Gano e di qual fede. Si trae il cappello e con la testa bassa mette un ginocchio a terra e fa la croce; ad ogni passo si segna e s'abbassa, borbogliando orazion con umil voce. Ecco Gan da Pontier che di passa: Filinor non si move piú veloce, ma torce il collo e si picchia e sospira; poi, quando gli par tempo, a Gan s'aggira.