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Giunto a Parigi, Galerana attenta volle gli fosser poste le coppette, sei sopra i lombi, e grida: Ch'ei le senta, ed una in sulla nuca, che fûr sette; mai fu lieta mai fu contenta se anche un servizial non se gli mette, dicendo: So ben io che un serviziale a un riscaldato è la man celestiale. Dodone aveva scorsa l'Inghilterra, invano di Marfisa ricercando.

I parigin non voglion che gli stampe, e vanno minacciando i revisori, ché, caschi il ciel, non gli lascino ir fuori. Dodone aveva anch'esso dalla sua alcuni paladin, ch'era giustizia.

Dodone, udendo, disse ad Angelino: Perdio! meglio a' tuoi giorni non dicesti: menale in casa e chiudi l'usciolino; ogni buon core in ciarle di fuor resti. Costoro attaccherebbono l'uncino con mille falsitá, mille pretesti, e l'ospitalitá saria tradita con l'amicizia in bocca piú forbita.

Qualche argomento va facendo tale, che i paladin gli voltavan le rene; del ben del mal Dodon gioviale potea trovar ragion come conviene, ché i paladin faceano i ciarlatani solo per parer dotti e partigiani. Contro Dodone irati, imbestialiti, vorrien sbranarlo vivo con le zampe. Dodone alcuni versi avea finiti pel maritaggio, e pronti per le stampe, che correggean que' vati fuorusciti.

L'autore della Marfisa, figurato nel paladino Dodone, si spassava continuamente a far l'osservatore e l'anatomista sui caratteri, sul pensare e sul raziocinare dell'umanitá, come si può rilevare dal suo poema e da tutti gli scritti suoi.

Chiama Dodone e Orlando da una parte, anche il danese consigliava il fatto; e si concluse che gettasse l'arte Malgigi, per saper dalla magia dove Marfisa con Ipalca sia. E tutti quattro a Malagigi uniti sen vanno tosto per sapere il vero. Gli aveva il mago attentamente uditi con ciglia brusche e con viso severo.

Donde sapea del secol la malizia, perché vivea nel secol veramente; ma al minacciar la divina giustizia, il secol si rideva apertamente; ché gli equivoci, i vini e la dovizia, ch'egli ogni cercava in fra la gente, facea che il detto: «Fa' quel ch'io ti dico, non quel ch'io fo» non s'apprezzasse un fico. Turpin sotto al suo ricco baldacchino era nel duomo, e avea presso Dodone.

A questa epidemia degl'intelletti, ch'era ridotta un guasto universale, sei o sette scrittor sani e corretti, e non entrati ancora all'ospedale, andavano a Dodone, poveretti, dicendo: Poniam freno a tanto male. Dodon rideva sgangheratamente del zelo inopportuno e inconcludente, e rispondeva lor: Cari fratelli, il mondo letterario s'è ammalato, vaneggia; i capi sono Mongibelli.

Dodone, Orlando e Rinaldo, ch'è giunto da Montalban per questa concorrenza, vanno con Angelin debile e spento, facendolo star sempre in riverenza, e fanno uffizi, e stanno forti al punto del sigillo Angelin non resti senza, dicendo: Se qualcun gli niega il voto, s'aspetti guerra e peste e terremoto. Da tutte parti gli uffizi infiammavano per quello di Bellanda e pel guascone.

In quell'ottava l'autore della Marfisa fa una pittura del carattere del Goldoni, gran coltivatore d'un grosso partito agli scritti suoi con una umiliazione e un'adulazione niente poetica. Stanza 117. Dodone dalla mazza, detto «il santo», era venuto, e guardava ogni cosa stando a un tavolier solo da un canto, facendo vista di fiutar la rosa.