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SAMIA. Che la mi manda a uno che fará fare a Lidio ciò che la vuole. FESSENIO. In che modo? SAMIA. Per via di canti. FESSENIO. Di canti? SAMIA. Messer . FESSENIO. E chi sará questo musico? SAMIA. Che vuoi tu fare di musico? Dico che vo a uno che lo fará amare, se crepasse. FESSENIO. Chi è costui? SAMIA. Ruffo negromante, che fa ciò che vuole. FESSENIO. Come cosí?

TRASIMACO. Férmati, o tu, di grazia; ch'or che ferve l'ardor dell'ira, e son tutto rabbia e furore, e la colera mi soverchia ché l'induggio, che si frapone alle vendette, allarga le ferite del cuore, vo' che sii spettatore del castigo, che vo' dar a quel poltron di Gulone, perché sei stato relator delle mie ingiurie.

Per queste ragioni, o per altre consimili che gli balenassero alla fantasia, messer Dardano Acciaiuoli lodò grandemente il concetto del suo amico Spinello. In fin dei conti la pittura ha una filosofia tutta sua, che ne vale molte altre, vo' dire la filosofia dei contrasti; e i contrasti, appunto per quella impressione che fanno immediamente sull'animo del riguardante, offrono argomento a profonde meditazioni. Un Lucifero bello! Che vi pare una cosa da nulla? Una simile stonatura, certamente voluta dall'autore, non è forse tale da far pensare che quel diavolo non meritava poi la sua trista sorte? E perchè subito viene in mente che Iddio non può aver fatto una cosa ingiusta, o almeno egli non può averla lasciata fare a spiriti perfetti, come sono senza dubbio i suoi angeli, non dee venire di conseguenza il pensiero che la malvagit

NEPITA. Se stesse qui, non anderei caminando. NARTICOFORO. Dove stai dunque? NEPITA. Dove mi fermo. NARTICOFORO. Dico se sei di qua. NEPITA. Giá, non son d'oltramare o d'oltra i monti. NARTICOFORO. Dico se stai in questa casa. NEPITA. Se stessi in questa casa, non starei in piazza. NARTICOFORO. Vo' saper se stai con Gerasto. NEPITA. Se sto teco adesso, come posso stare con Gerasto?

Allora ho pensato che il mio pastrano l'avevo riposto nella tua anticamera, e che per conseguenza.... Ma permettimi, vo subito a vederci; di certo la è cascata in qualche cantuccio.... E senza aspettar altro, Felicino Magnasco, che non aveva ancora alzati gli occhi verso la sua cugina, uscì a precipizio dal salotto. Or bene, che si fa? chiese Roberto alla signora Laura. Che si fa? rispose ella.

25 Come ode Alceste ch'io vo a ritrovarlo, mi viene incontra pallido e tremante: di vinto e di prigione, a riguardarlo, più che di vincitore, have sembiante. Io che conosco ch'arde, non gli parlo come avea gi

Alte terra` lungo tempo le fronti, tenendo l'altra sotto gravi pesi, come che di cio` pianga o che n'aonti. Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c'hanno i cuori accesi>>. Qui puose fine al lagrimabil suono. E io a lui: <<Ancor vo' che mi 'nsegni, e che di piu` parlar mi facci dono.

DOTTORE. Io non vo' che la cacci altrimente; ma diamela di buona voglia, ch'io gli rimborserò i suoi cento scudi. PANFAGO. Se volete far questo, vo' che allegramente

Partetevi, ché io vo a ritrovare il padrone, per cominciar ad ordir l'inganno. EROTICO. Mi parto: a dio.

POLISENA. A Dio solo si dia la gloria, ché noi non siamo meritevoli di tanti favori per li nostri peccati. EUFRANONE. Moglie, va' e fa' quanto t'ho detto, ché io andrò a convitar per domani tutti i parenti e la nobiltá di Salerno. DON FLAMINIO. Io vo' far prima ogni sforzo se posso indurla ad amarmi; e quando non mi riuscirá, non mancará ricercarla per moglie.