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e quanto fu diletto a li occhi miei, e la propria cagion del gran disdegno, e l'idioma ch'usai e che fei. Or, figluol mio, non il gustar del legno fu per se' la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno. Quindi onde mosse tua donna Virgilio, quattromilia trecento e due volumi di sol desiderai questo concilio;

Io facea il mio amator quivi montare; e la scala di corde onde salia io stessa dal verron giù gli mandai qual volta meco aver lo desiai: 10 che tante volte ve lo fei venire, quante Ginevra me ne diede l'agio, che solea mutar letto, or per fuggire il tempo ardente, or il brumal malvagio.

di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega. Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riportero` di te a lei, se d'esser mentovato la` giu` degni>>. <<Marzia piacque tanto a li occhi miei mentre ch'i' fu' di la`>>, diss'elli allora, <<che quante grazie volse da me, fei.

E sovente su libri polverosi La man vo riponendo tremebonda, Ed apro, e parmi a' giorni studïosi Tornar di giovinezza, e il pianto gronda! E trovo i segni che ne' libri io posi, Ove con mente mi fermai profonda, Ove ad alti pensier d'amato autore Commento fei di verit

Lo dir de l'una e de l'altra la vista mi fer voglioso di saper lor nomi, e dimanda ne fei con prieghi mista; per che lo spirto che di pria parlomi ricomincio`: <<Tu vuo' ch'io mi deduca nel fare a te cio` che tu far non vuo'mi. Ma da che Dio in te vuol che traluca tanto sua grazia, non ti saro` scarso; pero` sappi ch'io fui Guido del Duca.

Lo dir de l’una e de l’altra la vista mi fer voglioso di saper lor nomi, e dimanda ne fei con prieghi mista; per che lo spirto che di pria parlòmi ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. Ma da che Dio in te vuol che traluca tanto sua grazia, non ti sarò scarso; però sappi ch’io fui Guido del Duca.

APOLLIONE. Questo che dice è vero, e a me par mio fratello. PANURGO. Non hai tu un segnale nella schena, ché avendoti in braccio, quando era piccino, ti fei cadere e percotere in una pietra aguzza, di che giacesti duo mesi in letto e ancor ne devi aver la cicatrice? APOLLIONE. Questo è mio fratellissimo. O fratello ricercato e desiderato! NARTICOFORO. Può esser che tu voglia essere cosí credulo?

Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei: giudice Nin gentil, quanto mi piacque quando ti vidi non esser tra rei! Nullo bel salutar tra noi si tacque; poi dimando`: <<Quant'e` che tu venisti a pie` del monte per le lontane acque?>>. <<Oh!>>, diss'io lui, <<per entro i luoghi tristi venni stamane, e sono in prima vita, ancor che l'altra, si` andando, acquisti>>.

Ond'io: <<Forse che tu ti maravigli, antico spirto, del rider ch'io fei; ma piu` d'ammirazion vo' che ti pigli. Questi che guida in alto li occhi miei, e` quel Virgilio dal qual tu togliesti forza a cantar de li uomini e d'i dei. Se cagion altra al mio rider credesti, lasciala per non vera, ed esser credi quelle parole che di lui dicesti>>.

Dal Re ancor non conosciuta, Con le vergini men vo. Quanto fei per te, Castiglia, Tradimento non ci entrò. Le corone, che mi hai dato, Son di sangue e di dolor; Ma ne avrò su in cielo un'altra, Che ben fia di più valor. La processione che conduce al patibolo i fratelli Cènci, dopo avere percorso diverse strade, giunse alla fine in via Giulia, dove sostò davanti la carcere di Corte Savella.