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Alle 14 quando mi fermai sulle sponde del lago, un vento di ovest spingeva davanti a la nebbia; speravo tuttavia che il tempo si rimettesse volendo ancora scendere pel Lago Bianco al gias Murajon e tornarmene l'indomani a Tenda pel Colle Vej del Bouc, quantunque tale percorso riuscisse assai faticoso.

Ma io non tardai a levargli la soggezione. Mi alzai e presi congedo dal Bazzetta. Uscito nella via mi fermai per accendere il sigaro: e, senza volerlo, intesi che il sindaco parlava di me chiamandomi «lo scarabocchino». Non era un'ingiuria tanto atroce ch'io potessi aver diritto di offendermi. Eppoi non ci tenevo punto alla stima del sindaco: e non ero curioso di sapere ciò che diceva di me.

Una volta, accorso dalla mamma per domandarle la spiegazione di non so che cosa, la trovai che piangeva, pur continuando a leggere. Mi fermai a pochi passi da lei, non osando di avvicinarmi. Che hai? Perchè piangi, mamma? Dalla sua risposta capii che la faceva piangere quel libro. Buttalo via, le dissi, è un libro cattivo! No, è anzi un bel libro, rispose.

Una volta, nel pomeriggio della seconda domenica dopo il mio arrivo a Sulzena, ero passato innanzi alla porticina del coro mentre egli faceva la dottrina ai ragazzi: mi fermai ad ascoltarlo: la sua voce delicata, armoniosa arrivava a me congiunta alla soave fragranza del tempio e le somigliava: egli alternava alla recitazione dei dogmi l'insegnamento di una sua morale spontanea, indulgente, amorevole.

E una mattina, mentre per desiderio di Fausta noi due ci inoltravamo nei boschetti in cerca dei fiori di campo, lasciai sfuggirmi di bocca: Chi sa che mio padre non avesse ragione di chiamar questa villa «Villa Amara»! Tu la farai divenir tale per tua madre e.... per me! rispose Fausta con insolito accento di tristezza. Mi fermai per guardarla in viso.

Mi fermai un minuto, per accendere la sigaretta, e vidi che la donnetta tornava addietro, raccoglieva i cocci del fiasco, poi raggiungeva il bimbo e spariva verso la Rotonda. La sera appresso, quasi alla stessa ora, ripasso di e che trovo?

Forse miss Yves aveva affrettato la sua partenza dall'Italia e io non potevo durare a quella febbrile fatica; fermai di cessare dalle mie vane ricerche e di partire per Norimberga. In questo tempo avevo scritto a Violet due volte; la prima da Napoli, la seconda da Roma. La scongiuravo, s'era vicina a me, di rivelarsi. Nella seconda le indicavo pure la pietra di Shelley per luogo di convegno.

Mia madre stava a guardarlo, con gli occhi sbarrati da cui sgorgavano le lacrime. Giuliana lo sa? mi chiese mio fratello. No, forse no.... forse ha indovinato.... forse Cristina.... Resta qui tu. Corro a vedere; poi torno. Guardai il bambino tra le mani del medico, guardai mia madre; uscii dalla stanza; corsi a Giuliana. D'innanzi alla porta mi fermai: "Che le dirò? Le dirò il vero?"

Anzi mi fermai e chiamai forte: Pill.... Torno a sentire un ciuf-ciuf nell'acqua. Pill! dove sei?... e fischio, così.... mentre vado verso la pozza dietro il rumore.... Battistino, prese la pipa colla sinistra, e mandò un sibilo acuto da cacciatore che risuonò per tutta la solitudine.

La sera io partii in una carrozza, mentre nel parco andava innanzi la festa. Io guidavo.... Entro la carrozza era, in una specie di culla, accomodata la bambina.... Era una bambina? domandò Roberto, con accento di tenerezza ineffabile. Debbo dire che Cristina mi aveva raccomandato di non fermarmi ad osterie.... Mi fermai ad alcune osterie: ciò non potea far alcun male alla bambina.