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Aggiornato: 23 giugno 2025


; rispose Aloise; e il tuo povero amico è da quel tempo innamorato. L'ho amata fin dal primo giorno che l'ho veduta. Destino! Vederla e sentir la ferita nel cuore, fu un punto solo. Da quel giorno ho imparato a tacere, a tener segreti i miei patimenti. Credi tu forse, Enrico, che non mi avesse a dolere di nasconderli a te, al migliore de' miei amici?

Il sorriso, che lei mi lanciò dietro il libro mastro, si impregnò di drogheria, di ragioneria. Ma che importa la ricchezza! Che importa la miseria! dissi fra me Non è la Miseria la divina introduttrice nel vestibolo della Gloria? Almeno così avevo imparato nei romanzi e anche nei libri di scuola.

Andrea si andava civilizzando, si faceva vestire a Treviso da un sarto migliore di quello del villaggio, aveva imparato a pettinarsi, si metteva la cravatta con qualche attenzione, e pareva quasi un giovinotto della citt

Oh!... come puoi credere ad un simile scandalo?... Ma dunque?... Diavolo!... ci scriviamo. Come?... avete anche l'audacia di scrivervi? L'audacia!... perchè l'audacia?... A che cosa servirebbe l'aver imparato a scrivere, se non fosse per esprimere i propri pensieri?... a che cosa servirebbe la posta, se non fosse incaricata di trasportare i segreti di chi non è in caso di parlarsi?...

Non perdiamoci in discorsi inutili: ripigliò Damiano, corrugando le ciglia. Mi guardi bene in faccia; lei non mi riconosce più, lo so bene; ma io mi ricordo di lei, io che ho fatto la mia parte d'esperienza a questo mondo, io ho imparato a legger sul volto degli uomini il loro cuore. Oh se fosse vero quello ch'io temo pur troppo che sia!... Ma, a ogni modo... e per ciò appunto, ho voluto indirizzarmi a lei, sentire la verit

Verrò a bussare alla tua porta senza molto insistere, e quando me l'aprirai io te ne sarò grato, e ti terrò compagnia, ci terremo compagnia a vicenda, tu serbandoti come hai imparato a essere, io volendoti sempre piú un bene che non avevo mai immaginato di poterti volere.

Non egualmente serena si mostrava Albertina; ma la buona fata del Castèu aveva imparato nella lunga solitudine a padroneggiarsi, a non lasciar troppo scorgere le sue tristezze. Quando soffriva, soffriva dentro, e i sorrisi, come pallide viole alpine, le fiorivano timidamente sul labbro. Maurizio si ritirò nelle sue camere alla solita ora. Ebbe un sonno profondo, senza visioni, senza incubi.

Il maggiore, che fu poi padre di Carlo e di Aldo, aveva imparato a dire: «Un gentleman è un gentleman». E per seguire questa massima non volle più avere nulla a che fare coi genitori che tenevano negozio a Napoli. Alla sua morte il primogenito Carlo, appena ventenne, si sentì in dovere di andare alla ricerca dei suoi nonni. Li trovò, placidi e grassi, nella loro bottega.

«Il pianoforte, mobile di quasi tutta l’Europa, è anche qui abituale dappertutto. Per mezzo di questo magnifico strumento ho imparato in Palermo, accanto a dive siciliane, arie appassionate di Cimarosa e di Fioravanti, e duetti di Andreozzi e di Tritto.

A Maurizio non piacevano i titoli; non gli piaceva nemmeno che per dargli del furbo o dell'ipocrita fosse usato quel nome. Sentiva del resto in quella locuzioni l'effetto naturale, inavvertito, della scuola a cui aveva imparato Gisella. Quello era di certo il linguaggio del conte Camillo, soprannominato il miscredente. Gl'insegnamenti sono come le inondazioni, che si sovrappongono e fanno sedimento; essi lasciano sempre un deposito di frasi negli orecchi più delicati. Quelle frasi riappaiono qualche volta, senza che però ci si pensi, o si dia loro importanza veruna; riapparendo, dimostrano quale sia stata la scuola. E andasse pur gesuita per ipocrita; perchè ipocrita, poi? forse era sinonimo di cauto? C'era nell'applicazione del vocabolo un'accusa di vilt

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