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Rosina si affaccendava con tutto zelo intorno al signor Marone, il quale non cessava di lamentarsi come un uomo alla tortura, e la non mostrò neppure d'aver visto lo speziale che era entrato chetamente in coda agli altri. Il giacente, appena scorse il medico, tese verso di lui le braccia ed esclamò quasi piangendo: Ah, mio caro dottore, mi salvi lei... Sono un uomo rovinato... Oimè! oimè!

LECCARDO. Oimè, quella faccia piú bianca d'una ricotta, quelle guancie piú vermiglie di vin cerasolo, quei labrucci piú cremesin d'un presciutto, quella..., ahi! che mi scoppia il core,... DON FLAMINIO. Che cosa? sta male? LECCARDO. Peggio! DON FLAMINIO. Ecci pericolo della vita? LECCARDO. Peggio! DON FLAMINIO. È morta? LECCARDO. Peggio! DON FLAMINIO. Che cosa piú peggio della morte?

FULVIA. O il cielo o il peccato mio o la malignitá dello spirito che stato si sia, non so; ma, una volta, voi avete, oimè! di maschio in femina converso Lidio mio. Tutto l'ho maneggiato e tócco; altro del solito ritrovo che la presenzia in lui. Ed io non tanto la privazion del mio diletto piango quanto el danno suo: ché, per me, privo si trova di quel che piú si brama.

CALANDRO. ... lac... FESSENIO. Bu... CALANDRO. Bu... FESSENIO. ... fo... CALANDRO. ... fo... FESSENIO. ... la... CALANDRO. ... la... FESSENIO. ... ccio... CALANDRO. ... ccio... FESSENIO. ... or... CALANDRO. ... or... FESSENIO. ... te la... CALANDRO. ... te la... FESSENIO. ... do. CALANDRO. Oh! oh! oh! ohi! ohi! oimè! FESSENIO. Tu guasteresti il mondo.

ALESSANDRO. Nulla. PANFAGO. O mal d'affogaggine! Oimè, che la fame m'asciuga lo stomaco e la sete mi disecca le vene; ma possa io morir di mala morte, se non me ne farò vendetta e bona! Traditori assassini, che dispetto vi feci mai, che meritasse tanto scherno? farmi star tutto il giorno su le speranze, digiuno?

FILASTORGO. Oimè Lampridio, oimè figliuolo mio caro, quanto piú desiava vederti meno ti potrò vedere; a tempo ch'io pensava goder teco questo poco di vita che mi avanza, violenta morte me ti trarrá da queste mani. O Laudomia moglie cara, quanto felice fu la tua morte passata per non trovarti a questo dolor presente!

MALFATTO. Non ce voglio venir, adesso. RUFINO. Domino che non ne coglia qualcuno! PRUDENZIO. Oimè! oimè! Vieni a opri, sciagurato! MALFATTO. Non ce voglio venire perché non dite da vero. PRUDENZIO. , dico, alla fede. MALFATTO. E io dico de no; ché me date la baia. PRUDENZIO. Alla , che, se tu non vieni a oprire, ch'io te farò el piú tristo uomo di Roma.

ARMELLINA. Giá avete avuta la cena, ora si prepara il retropasto di un cavallo su le spalle di cinquanta bastonate. PANDOLFO. Averei desiderio sapere che ha fatto il vignarolo. Oimè, che mai si trova quel che si cerca e si incontra sempre chi si ischiva: non posso trovare il mio padrone per dargli cosí buona novella!

Tu vorrai che io ti soni, FESSENIO. Oimè! oimè! La va male. Spacciato è il fatto nostro; ogni cosa è guasta; tutto è scoperto; ruinati siamo. MERETRICE. Che cosa è? FESSENIO. Rotto è il disegno. MERETRICE. Parla, Fessenio: che c'è? FESSENIO. Aiutami, Sofilla. MERETRICE. Che vuoi? FESSENIO. Piangi, lamentati, grida, scapigliati. Cosí! ! MERETRICE. Perché? FESSENIO. Presto lo saperrai.

Emilia si sforzò di sorridere, ma non poteva parlare. «Oimè! cara fanciulla, quando avrete i miei anni, non piangerete per inezie. Certo non dovete affliggervi per qualcosa di serio? No, Dorotearispose Emilia, «nulla d'importanteDorotea, chinatasi per raccogliere qualcosa, esclamò improvvisamente; «Cielo! che vedoCominciò a tremare, e si abbandonò su d'una sedia.