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Piantato dunque in terra un paradiso da l'angiol fu di Dio detto «Fortezza»; luoco non privo mai d'onesto riso, de sòni, canti, giochi a gran dolcezza. Quivi trovai pur anco l'aureo viso di quel Iesú che l'amorosa frezza nel cor m'immerse prima, e seco poscia portollo, me lasciando in dolce angoscia.

LIMERNO. Ed anco li quattro fa parerti otto. Ma dimmi: soni tu d'altro instrumento che di fiasco? MERLINO. Ecco lo sacco. LIMERNO. Per la croce di Dio! tu déi essere un boia. MERLINO. Che voi dir boia? LIMERNO. Un mastro di giustizia, al quale si per sua mercede tre libre di piccioli e un sacco. MERLINO. Ma non gli dánno però la piva drento. LIMERNO. Tu dunque vi tieni drento la piva?

Era quel caro volto, un po' smagrito, dalle linee decise, con la piega sdegnosa all'angolo destro della bocca, era quello sguardo dritto negli occhi scuri, era quella voce, fatta più maschia, ma uguale, senza soni falsi, che le portavano innanzi lutto il suo bel passato radioso di fanciulla.

Tu vorrai che io ti soni, FESSENIO. Oimè! oimè! La va male. Spacciato è il fatto nostro; ogni cosa è guasta; tutto è scoperto; ruinati siamo. MERETRICE. Che cosa è? FESSENIO. Rotto è il disegno. MERETRICE. Parla, Fessenio: che c'è? FESSENIO. Aiutami, Sofilla. MERETRICE. Che vuoi? FESSENIO. Piangi, lamentati, grida, scapigliati. Cosí! ! MERETRICE. Perché? FESSENIO. Presto lo saperrai.