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LIMERNO. Ma che? MERLINO. Aggradito m'averia piú, se... LIMERNO. Se che? MERLINO. Se piú lungo fusse proceduto. LIMERNO. La cagione? MERLINO. Per piú dormire.

LIMERNO. Che fai, Merlino? MERLINO. Empiomi lo magazzeno. LIMERNO. Avvantaggiato mercadante sei tu! mangi tu forse? MERLINO. Non hai tu gli occhi da vederlo? LIMERNO. Ben veggio con gli occhi, ma non comprendo. MERLINO. Per qual cagione mi domandi tu adonca s'io mangio, non lo potendo chiaramente vedere?

PAOLA. Grande ingratitudine per certo! Ma comincio giá la causa di questo tuo rammarico intendere: lo poema da lui composto sotto il nome di Merlino Cocaglio ancora non ti si parte dal cuore? CORONA. Anzi ognor piú me lo parte e straccia. PAOLA. Deh! stolta, tu t'affanni oltra quello che a te non tocca. CORONA. Piú d'ogni altro mi tocca, ché piú d'ogni altro son certa che l'amo. PAOLA. Piú di me?

Quivi d'intaglio con lavor divino avea Merlino imagini ritratte: direste che spiravano, e, se prive non fossero di voce, ch'eran vive.

38 Con questa intenzion prese il camino verso le selve prossime a Pontiero, dove la vocal tomba di Merlino era nascosa in loco alpestro e fiero. Ma quella maga che sempre vicino tenuto a Bradamante avea il pensiero, quella, dico io, che ne la bella grotta l'avea de la sua stirpe istrutta e dotta;

MERLINO. Deh, mira cotesto zaratano lombarduzzo come si mette al rischio di saper ragionar toscano, ove egli non men si affá d'un asino a la lira! LIMERNO. Che zaratano? che lombarduzzo? Come se un conte di Scandiano, un Ludovico Ariosto, un Tebaldeo, un Lelio, un Molza ed altri molti valentuomini non fussero in Lombardia nasciuti! MERLINO. Non sei tu giá del numero loro?

MERLINO. E quali sono questi detrattori di essa? LIMERNO. Alquanti persianisti pedagogi o pedantuzzi. MERLINO. Che cosa dicono? LIMERNO. Cotesta lingua essere cagione di lasciar la romana.

Ed in questa tal foggia seconda di vivere, essendo egli giá fora del sentiero diritto, compose lo poema di Merlino con tutte l'altre favole e sogni amorosi, li quali ne la «selva» seconda si leggono. Or dunque Cristo si gli scopre in quel centro d'ignoranzia de la «selva» terza apparendo, e d'indi smosso, lo driccia sul cammino al terrestre paradiso duttore.

CORONA. O smemorata me, ch'ora me lo ricordo! Ma dimmi: è di Teofilo? LIVIA. Non sai che solamente vi si fa menzione di Merlino, Limerno e Fúlica? CORONA. Troppo me lo ricordo! Ma che fusse di tuo fratello Camillo mi pensava. LIVIA. Tu non pensasti dritto: è di Teofilo.

Soperato dunque e vinto finalmente dal fugace desio, vágli impetuoso drieto, dovunque la falsa incantatrice, losingando, a in guisa di calamita lo smarrito animo tira, passando tutta fiata per sogni, chimere ed amorose favole, quali sono le «fizzioni macaronesche», come gli appellano, di Merlino, li sonetti, ed altre assai vane frascuzze, per signar il tempo da la giovenezza inutilmente trapassato, in fin che poi nel laberinto di qualche travaglio si ritrova essere: cosa che 'l piú de le volte dopo gli piaceri sòle a gli gioveni accascare.