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CORONA. Potrebbe forse pentirsene, credilo a me. PAOLA. Di che? CORONA. Dir tanto male. PAOLA. Anzi solamente si dole che non pur Merlino, ma Limerno compose cosí precipitosamente che li stampatori non poteano supplire a l'abbondanzia e copia de' suoi versi; laonde pargli un errore grandissimo non aver servato lo precetto oraziano.

CORONA. Troppo son certa io de la lui malizia, il quale fingesi «pitocco» e furfante per dar bastonate da cieco. PAOLA. Tu non sai la cagione. CORONA. Cosí non la sapessi! PAOLA. Dimmi, qual è? CORONA. Per farci morir tutti spacciatamente di doglia, acciò piú oltra non avesse chi gli gridasse in capo. PAOLA. Tu te 'nganni grossamente. CORONA. Anzi pur tu te 'nganni. PAOLA. Come?

Maledictus homo qui negligit honorem suum! CORONA. Dio pur volesse che la vergogna fusse di lui solo! PAOLA. So male che responderti, non t'intendendo ancora: dimmi, ha commesso qualche adulterio? CORONA. Grandissimo. PAOLA. È di carne... Ma in che modo? CORONA. Qual trovasi maggior adulterio essere che de lo ingegno suo pellegrino, che de le tante lui grazie dal ciel donate usarne male?

Sibbene ella cantava quel waltzer come se piangesse: e invero quella musica, che è il pianto di una illusione, pareva un singulto di dolcissima follìa. Datemi il mio ventaglio disse Paola, dolcemente, a Fulvio, che se ne stava solo solo sul terrazzo. No, se non mi sentite disse lui, tenendosi il ventaglio stretto alle labbra. Datemi il mio ventaglio ripetette ella, con fermezza e con dolcezza.

In tanta purezza d'azzurro, quel matrimonio d'un uomo vecchio con una donna matura, quel discorso del cambiamento di camera per cedere a loro la camera comune coi due letti gemelli, suscitò tutte le ripugnanze della poetica Paola.

La rigida novizia strappò la lettera, e rispose che era più ferma che mai nel suo proposito di farsi monaca. Infatti, otto mesi dopo pronunciò i voti. Col volto pallido, gli occhi sempre bassi, l'aspetto rigido, suora Paola Immacolata è ora la monaca più fredda e severa del convento.

Attorno al pianoforte, ora, si rideva. Il maestro giovanetto, pallido, col grosso ciuffo di capelli neri sulla fronte, arrivato da poco da Londra, raccontava a quei suoi amici napoletani l'ostinazione delle misses e delle mistresses inglesi a volere imparare le patetiche romanze italiane: ne rifaceva le smorfie e le contorsioni, vivacemente col brio del napoletano che si vendica della lunga stagione di nebbia sopportata a malincuore. Tatti ridevano, specialmente il marito di Paola: Paola, ritta in piedi, si sventolava col grande ventaglio di raso nero, dove un pittore fantastico aveva dipinto un paesaggio lunare. E Fulvio, non potendo parlare, guardava Paola: la guardava con tanta intensit

Quando sua sorella usciva dal salotto tutta rossa ed indignata, spingendosi indietro l'uscio, per isfuggire la vista di quelle carezze, lei la seguiva e le diceva: Ma perchè ti agiti a questo modo, Paola? Non vuoi che il babbo voglia bene alla sua sposa? È la religione stessa che comanda agli sposi d'amarsi. La Paola non rispondeva, come non aveva parlato neppur prima.

PAOLA. Anzi totalmente nel ternario numero fermatosi, ha messo a luce il Caos del triperuno. CORONA. Qual Caos del triperuno? LIVIA. El pare che non ti sovvegna! CORONA. Non mi sovviene per certo. LIVIA. Le tre «selve», le quali heri legessimo, e, per segno di ciò, una allegoria bellissima tu di quelle saggiamente cavasti, quantunque io sia di senso molto dal tuo discosto.

Lascerete vostro marito, vostra madre, la vostra casa, i vostri servi, tutto quello che avete amato, tutto quello che avete adorato: e verrete con me. Andremo lontano. Saremo assai felici, assai felici, vedrete. Saremo anche infelici, lo so; ma non importa, così è la vita. La passione è più forte di noi. Io vi adoro, Paola, andiamo via.