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Massimo non morì di quell'oltraggio, ma non volle che nessuno lo vedesse soffrire. Scrisse a Camillo quel che credeva necessario di scrivergli in forma alta e superba: non gli chiese nemmeno quel piccolo rendiconto dell'eredit

Cosí, quando fece non so qual voto Furio Camillo per ottenere vittoria contro i nemici, che poscia, per lo troppo importare, non s'arrischiava dirlo al senato, e' non arrivava ad otto talenti d'oro: pure lo disse poi, e bisognò che si spogliassero de' suoi ornamenti ed anella le matrone romane per farne il cumulo, per la generositá delle quali fu concesso dal senato che potesse loro farsi dopo morte l'orazione funebre, che prima solo agli uomini era solita permettersi.

I Conti rimasero signori di questo luogo sino al 1575, nel quale anno si estinsero. Giovanni Battista, l'ultimo capo della casa, non lasciò che una figlia, Fulvia, che portò in dote tutti i beni di famiglia agli Sforza. Gli Sforza vendettero Valmontone nel 1634 ai Barberini, e Camillo Pamphili, nipote d'Innocenzo X, lo comperò dal cardinale Francesco Barberini nel 1651. Da allora è rimasto propriet

Vittorio Emanuele III re del comune Dora, Berretta III gran proposto dell'Olona, Manin II doge di Venezia, Libeny II governatore di Vienna, Camillo Ugo presidente di Parigi, Carlo Bixio borgomastro di Genova, non sono che mandatarii del popolo, eletti per voto universale, incaricati di presiedere il Consesso degli Anziani o Padri di famiglia nelle adunanze Comunali.

Con un sorriso d'indulgenza stese la mano a Massimo, che rimase inerte come un uomo che sia stato mortalmente ferito in qualche parte del corpo e resta un istante in piedi in attesa che la morte lo faccia stramazzare. Non era difficile intendere che Camillo aveva contrattata vita per vita.

E tanto piú che gli antichi diedero a Camillo, il gran motore di quell'impresa, il nome di «secondo fondatore di Roma», e che antichi e moderni concordano a dire incerta e poco men che favolosa o poetica tutta la storia romana precedente la guerra de' galli. Mezzi; costituzione e mutazioni.

Ed è sua nipote, infatti. Ah, ora ci sono; gridò Maurizio. La figlia del signor Camillo.... il miscredente. Il volto della contessa Albertina si rabbruscò, a quella scappata del fratello Maurizio. Perchè miscredente? diss'ella con accento di mite rimprovero. Lo dicevano, allora, ed io ripeto quel che ho sentito. Avrebbe voluto soggiungere: lo diceva perfino nostro padre.

CORONA. O smemorata me, ch'ora me lo ricordo! Ma dimmi: è di Teofilo? LIVIA. Non sai che solamente vi si fa menzione di Merlino, Limerno e Fúlica? CORONA. Troppo me lo ricordo! Ma che fusse di tuo fratello Camillo mi pensava. LIVIA. Tu non pensasti dritto: è di Teofilo.

³¹⁶ Sentenza del Tribunale della R. Gran Corte in data del 10 Settembre 1773. Atto del Not. Camillo M.a Pipitone in Palermo. ³¹⁷ Sentenza del Tribunale della R. Gran Corte, sede civile, in data del 18 Febbraio 1779.

Tanto erano dimenticate e ignorate quelle novelle che parecchi ai quali credetti di potermi sicuramente rivolgere per notizie, mi guardarono stupiti, persuasi che io confondessi Arrigo con Camillo, autore, come si sa, di due volumi di novelle, pubblicati dai Treves, Storielle vane e Senso, nuove storielle vane.