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FILASTORGO. Son giá fastidito d'andar dimandando, e dubito se non l'incontro a caso, di non averlo a ritrovar giamai; e in cosí populosa cittá è appunto l'andar cercando lui come un ago nella paglia. Andiamcene su, madre. SENNIA. Andiamo, ma questo forestiero che or mi par gionto in Napoli, figlio, non ti muove gli occhi da dosso. FILASTORGO. O Lampridio, figliuolo carissimo, Iddio ti salvi!

PROTODIDASCALO. Non ti ha scritto Giulio che Olimpia non voleva che tu fussi venuto a Napoli? e non ci fu detto nel diversorio che Olimpia si maritava con un certo capitano famigerato? LAMPRIDIO. È bugia, nol credere. PROTODIDASCALO. Niuno crede a quel che gli dispiace.

FILASTORGO. Che nieghi me non me ne maraviglio: maggior maraviglia sarebbe se, avendo negato te stesso, volessi accettar di conoscer me per padre. LAMPRIDIO. Che arroganza è la tua far ingiuria a chi non conosci? FILASTORGO. L'arroganza è pur tua a non rincrescerti della tua perfidia cominciata. Pur aspettava che qualche segno di vergogna lo manifestasse.

LAMPRIDIO. Forestiere, m'avete tolto in cambio, perché chiamate Lampridio un che si chiama Eugenio. FILASTORGO. Il nome e i panni t'arai potuto cambiare, ma l'effigie è quella istessa che avevi in casa mia. LAMPRIDIO. Tu sei troppo fastidioso: vuoi a forza ch'io ti conoschi non conoscendoti. FILASTORGO. Non conosci tu Filastorgo? LAMPRIDIO. Non ho inteso nominar tal nome giamai.

LAMPRIDIO. Mira che passeggiar altiero, mira che bravura! SQUADRA. Lasciatelo andar, padrone, ché alla ciera mi par di buono stomaco. TRASILOGO.... Io gli darò a ber un poco d'acqua di legno, che gli lo sconcierá di sorte che per parecchi giorni non gli verrá voglia di mangiare. Ma será meglio che gli parli prima. Dimmi un poco, conoscimi tu? LAMPRIDIO. Io non ti conosco mi curo di conoscerti.

SENNIA. Ditemi, quando vi sète riscattati? TEODOSIO. Avendomo inviato molte lettere per lo riscatto, ha voluto la nostra disgrazia che di niuna ne abbiamo ricevuto risposta; cosí abbiam rotta la prigionia e siamo scampati. LAMPRIDIO. Voi dovete esser usi a star in prigione; non deve esser questa la prima volta che l'avete rotta. SENNIA. Come sète venuti a Napoli?

MASTICA.... Ella negando sempre non volse mai consentirvi; pur volendo la madre che vi consentisse per forza, si serrò in una camera, si stracciò i capelli, si batté il petto, fece altro che piangere e sospirare.... LAMPRIDIO. Questa è la lieta novella che m'apportavi? Mi hai mezzo morto! MASTICA. Ascolta se vuoi.

Tu devi avertire che Sennia è vecchia prattica delle cose del mondo, e queste cose le devono esser passate piú volte per le mani: so che non passerá una settimana che se n'accorgeranno le fanti, la famiglia e tutta la casa. LAMPRIDIO. Che sará dunque bisogno di fare? MASTICA. O che ella fusse cieca per non veder ciò che fai, o tu stropiato e mutolo per non toccarla e parlar tanto.

Orsú, me n'andrò ratto a Salerno per trovar Lampridio e gli darò la lettera, che per mancia non mi mancherá un banchetto da imperadore. LAMPRIDIO innamorato, PROTODIDASCALO suo precettore. LAMPRIDIO. Ecco pur veggio quell'ora, che per troppo desiderarla mai non parea che venisse. Quanto pensi, o Protodidascalo precettore, mi sia dolce Napoli?

LAMPRIDIO. Non mi quadra, mi batte l'occhio dritto; e mi fu referito nel viaggio che si maritava con non so chi capitano suo vicino. GIULIO. Io non so nulla di ciò: questa è la casa del capitano che dite, e questi che viene è suo servidore; volete che gli ne dimandi? Non rispondete? volgete l'animo a me. LAMPRIDIO. Non l'ho meco. GIULIO. Richiamalo a te.