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NEPITA. Chi ti consigliò questo? chi ti diè tanta audacia? ESSANDRO. Amor mi fu consigliero, Amor mi diè l'ardimento e di sua mano mi pose questo abito adosso, Amor mi fe' il sensale e mi condusse a servirla. NEPITA. O Dio, che cosa ascolto!

SANTINA. Fate che quel gatto rosso si castri, e se non potete, strangolatelo e buttatelo in un cesso, come merita; che non vo' che vada su per i coppi de' vicini. SANTINA. Nepita, Nepita! NEPITA. Signora. SANTINA. Vien qui. SANTINA. Come hai tardato tanto? NEPITA. Avea il pistone in mano, l'ho forbito e riposto. SANTINA. Dove è Fioretta? NEPITA. In camera con Cleria. E che fa?

NEPITA. Se stesse qui, non anderei caminando. NARTICOFORO. Dove stai dunque? NEPITA. Dove mi fermo. NARTICOFORO. Dico se sei di qua. NEPITA. Giá, non son d'oltramare o d'oltra i monti. NARTICOFORO. Dico se stai in questa casa. NEPITA. Se stessi in questa casa, non starei in piazza. NARTICOFORO. Vo' saper se stai con Gerasto. NEPITA. Se sto teco adesso, come posso stare con Gerasto?

NEPITA. Lavorano insieme. SANTINA. Lavora volentieri? NEPITA. È tanto gonfia di voglia e sta tanto col pensiero dritto a quel lavoro, che par non vorrebbe mai far altro; si riposa se non va tutta in sudore. SANTINA. Da vero? NEPITA. Adesso l'ha posto l'aco in mano, e fanno quel lavore del punto brisato: piglia un filo e duo ne lassa de fuori.

Io ho un servo in casa, che ha gambe sotto cosí robuste ch'è buon per caminare quattro e cinque miglia per ora, come tu proprio vorresti: te lo darò per marito, e serai madre di mia moglie e padrona della casa. NEPITA. Ne vedrai la prova, che d'oggi innanzi m'adoprerò in tuo aiuto con ogni modo possibile. ESSANDRO. Tuo ufficio sará d'aiutarmi, poiché cosí speranza me ne dai.

NEPITA. Sarebbe assai bene farsi un officiale che, quando se avessero a tor le fantesche, le ponessi le mani sotto per veder se son uomini o femine. A che giova tener le donne serrate in camera con porta e fenestre e chiavistelli, se i giovani se trastullano con loro sotto altro abito? SANTINA. Apri la porta: entriamo. GERASTO. Non posso cavarti di bocca una parola vera di questo fatto?

NEPITA. Io vorrei piú tosto esser straccata da mille uomini, che esser tócca da un sol dente di lupo. SANTINA. S'egli ha rotto le leggi del matrimonio, non l'ho rotte io le romperò finché viva. Egli lo meritarebbe certo; ma io vo' mirar me non lui. Una donna deve far conto del suo onore.

ESSANDRO. Questa arte m'hai tu forzata a farla, e non devresti ingiuriarmi di cosa di che tu sei stata cagione. NEPITA. Mira con quanta superbia mi favella e mi viene con le dita sugli occhi ancora! Pensi che sia alcuna ricolta dal fango e non si sappi donde mi sia, come tu sei? ESSANDRO. Nepita, tu hai altro con me e mi vai cosí aggirando il capo.

NEPITA. Voglio che ti scalzi i guanti, vadi a lavar le scudelle, a nettar le pignate, a vôtar i destri e a far gli altri servigi di casa, intendi? ESSANDRO. Cleria padrona mi ha invitata per i suoi servigi. NEPITA. Son scuse tue. T'arai data la posta con qualche famigliaccio da stalla e or lo vai a trovar cosí mattino. ESSANDRO. Misuri gli altri con la tua misura.

Mi vai tutto il giorno passeggiando con i guanti alle mani come una gentildonna: cosí si serve? cosí si mangia il pan d'altri, eh? ESSANDRO. Nepita, come tu sei stracca di travagliar te stessa, attendi a travagliar gli altri: giocherei che non sai quel che vogli o non vogli.