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Gentiluomini, mi sapreste dar voi nuova di Gerasto di Guardati? GERASTO. Niuno ve ne può dar piú certa nuova di me, perché io son detto. Ma che volete da me? APOLLIONE. Saper solo se in casa vostra fusse una fantesca chiamata Fioretta, che son tre anni che si partí di casa mia. GERASTO. Chi sète voi che me ne dimandate?

È stata mezana tra Cleria mia figliana e uno Essandro suo parente, che l'ha ridotta a divenir pazza e a menar vita da disperata; s'è attaccata a far l'amor col padron vecchio, e ha posto tanta gelosia tra lui e la moglie che stiamo tutti in scompiglio; l'ha tolto a me, che pur qualche voltarella mi recreava, di che mi scoppia il cuor di gelosia. Ma dove mi sei sparita dagli occhi, mona Fioretta?

SANTINA. «Fioretta» vuoi tu dire? SPEZIALE. , . Ditegli che il modo d'oprarle è questo: che s'ingiotta queste, poi mangi una libra di pignoli e beva vernaccia fina, non altro, che fará facende. SANTINA. Come potrá ingannar sua moglie?

GERASTO. Se tu avessi tanto caminato quanto hai parlato, saresti giunto prima; ma non è meraviglia, ché i granchi hanno due bocche, una innanzi e un'altra dietro. ESSANDRO. Ahi, misera me! GERASTO. Fioretta mia, di che stai di mala voglia? ESSANDRO. Del bel marito ch'hai trovato a tua figlia. GERASTO. N'ho ritrovato uno buonissimo a te, accettalo e farai bene. ESSANDRO. Di che etade egli è?

La notte non dorme mai; e io per gelosia che non vada a Fioretta, sto sempre desta: mi la veglia. Non attende piú alla cura degli ammalati; ha due figlie in casa che gli paiono sorelle, e non prende cura di casarle; e se per altrui diligenza ne abbiamo maritata una, e aspetta lo sposo che d'ora in ora viene a casa, ne prende quella cura come se non venisse nella sua....

Ella è vergine e si deve vergognare venir da lei; e se ben muore per me, la vergogna la fa restia. In somma, se non ci la conduco per forza, non verrá da lei giamai. Io ho questi amici, la farò tor per forza e menar qui dentro; ma mi meraviglio che lo speciale non v'ha condotti quei lattovari che l'ho fatti far per trovarmi gagliardo con Fioretta.

CLERIA. Come può esser questo vero, se qui non veggio niuno altro che te, altri che tu mi parli? Ma dimmi, Fioretta carissima, sai tu quanto egli m'ami? ESSANDRO. V'ama quanto io. CLERIA. So che tu m'ami, non ne sto in dubbio; ma tu sei mal cambiata da me, che ti amo quanto si può, perché mi rassomigli tutta a tuo fratello. ESSANDRO. Anzi piú m'amaresti, se mi conoscessi.

CLERIA. Dunque, poiché t'è cosí aperto e nudo il cor mio come la fronte, perché non gli manifesti quanto l'amo? ESSANDRO. Anzi, egli si duole di me che non gli manifesti il suo amore: alfin, io sarò la cagione d'ogni male. CLERIA. Anzi, la radice e fonte d'ogni bene. Va' dunque, Fioretta mia, e digli che avendomi comandato che volea ragionarmi, ecco ch'io sono apparecchiata;...

SANTINA. Fate che quel gatto rosso si castri, e se non potete, strangolatelo e buttatelo in un cesso, come merita; che non vo' che vada su per i coppi de' vicini. SANTINA. Nepita, Nepita! NEPITA. Signora. SANTINA. Vien qui. SANTINA. Come hai tardato tanto? NEPITA. Avea il pistone in mano, l'ho forbito e riposto. SANTINA. Dove è Fioretta? NEPITA. In camera con Cleria. E che fa?

Ma chi piglia i fastidi per fastidi, entra in un mar di fastidi; però non vorrei io tanto ingolfarmi in questi fastidi, che lasciassi passar l'occasione che ho desiderata mille anni. Fioretta m'ha promesso aspettarmi in questa camera, e giá due ore sono: deve star a disagio. O me felice, or corrò il frutto tanto desiderato! Ma qui non è niuno.