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Volentieri», esclamò in tripudio la Rosalia, di nulla più desiderosa che di cogliere ogni prova d'affezione venutale da lui, per volergliene sempre più bene. E il bambino? Attendi tanto ch'io l'abbia addormentato. Perchè nol recheremo anch'esso? No! Non l'ho portato io tanto tempo quiCosì dicendo, l'avviluppava in un pannolino, e di costa al marito, si avviava.

Per chi dobbiamo nasconderci? Appena arrivata al cottage, io dirò ai miei parenti... Ti prego, Elsa; attendi qualche poco prima di far questo. Ma io soffrirei se dovessi nascondere a mio padre e alla mamma... Attendi un altro po'! Mio padre... Ebbene, mi ribellerò; non sono più sotto tutela!

Però vo' che mi attendi, ché ti vo' confidare un mio secreto. Io son diviso giá da mio fratello perché sopra di te non abbi alcuno ne la mia casa ma ne sia signora.

Se pur verrammi tal miseria, attendi Che da l'ombra infernal spirto sdegnoso Deggia apparirti, e con sembianti orrendi Mai, notte, , darti riposo. Georgo rispondea: chiaro comprendi Se de le pene tue vivo doglioso, E se tolto da te la vita ho cara, Da questa mia percossa oggi l'impara.

VIRGINIO. Orsú, figliuola mia! Io non voglio star teco piú in còlora. Ti perdono ogni cosa, pur che attendi a viver bene. FABRIZIO. Vi ringrazio. GHERARDO. Cosí fanno le buone figliuole. FABRIZIO. Ecco l'altro rosto fresco. GHERARDO. Orsú! Non v'è onore esser visti ragionar fuore in questo abito. Entratevene in casa. Pasquella, apre l'uscio. VIRGINIO. Entra, figliuola mia.

E non è maggior dolcezza che acquistare quel che si desidera in amore, senza il quale non è cosa alcuna perfetta virtuosa gentile. FESSENIO. Non si può dir meglio. POLINICO. Non è maggior vizio in un servo che l'adulazione. E tu lui ascolti? Lidio mio, attendi a me. FESSENIO. che gli è delicata robba!

GERASTO. Tu non ti intendi di matrimoni, a pena sai filare; attendi a filare. SANTINA. E tu attendi a medicare. Ma qualche cosa ci è di sotto: non stimi ch'io abbi prima pensato a quello che tu pensi? Se tu mi tenti... GERASTO. Che cosa? SANTINA. Vuoi che dica? GERASTO. Di' tosto. SANTINA. Quella... GERASTO. Chi quella? SANTINA.... che tu sai... GERASTO. Che so io?

Offerse la mano a sua moglie con uno strano sorriso sul labbro; non era più l'avvocato Zaeli. Paolina lo guardava attenta. Nel suo cuore si sprigionava una voce che saliva, saliva alla gola, potè trattenerla. Stranieri l'uno all'altro, noi?... gridò con affanno. Noi? ma piuttosto morire! L'avvocato balzò alla finestra. Attendi un momento, Tonino; termino di scrivere una lettera.

FORCA. E tu, come hai mangiato e bevuto stai imbriaco, ti poni a dormire, e qui bisogna star in cervello; ché una parola che non dicessi a proposito, scompigliaresti in un punto quanto s'è consertato in un anno. PANFAGO. Insegni a chi sa: attendi a quello che tocca a te e lascia il pensiero a me di quello che mi tocca. FORCA. Non ti mancherá da mangiare.

Io messaggio del Ciel, per cui contendi, Oggi quì mi rivelo a tuo conforto; Dammi l'orecchio, e ben disposto attendi A tutto ciò, che favellando apporto: È ver, che del gran sangue, onde discendi, Infra mortali non ti pregi a torto, Di verace valor prencipi altieri, E fra regie virtù scettri primieri.