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STRAGUALCIA. Ah! ah! Non tel dissi io? VIRGINIO. Che è della mia figliuola? Díemela, ch'io la vo' menare a casa mia. E voi avete trovato Fabrizio? PEDANTE. , ho. VIRGINIO. Dov'è? PEDANTE. Qui dentro, che ha tolto una bellissima moglie, se ne sète contento. VIRGINIO. Moglie, eh? e chi? STRAGUALCIA. Molto presto! Ricco, ricco! PEDANTE. Questa bella e gentil figliuola di Gherardo. VIRGINIO. Oh!

GHERARDO. Virginio, io ho avuta la piú onorata moglie che fusse in questa cittá e ho una figliuola che è una colombina. Come vòi ch'io mi metta in casa una che s'è fuggita dal padre e va per questa casa e per quella vestita da maschio, come le disoneste donnacce? Non vedi ch'io non trovarei da maritar mia figliuola? VIRGINIO. Passato qualche , non se ne ragionará piú. Che credi che sia?

Virginio Rufo, semplice cavaliere ma uomo stimato, legato dell'Alta Germania, ha dichiarato guerra a Giulio Vindice e muove contro di lui alla tutela dell'impero.

E' non vi è altri che tu e io che lo sappi. GHERARDO. E poi ne sará piena tutta questa terra. VIRGINIO. E' non è vero. GHERARDO. Quant'è ch'ella è fuggita? VIRGINIO. O ieri o questa mattina. GHERARDO. Dio 'l voglia. Ma che sai ch'ella sia in Modena? VIRGINIO. Sollo. GHERARDO. Or truovala e poi ci riparleremo. VIRGINIO. Promettimi di pigliarla? GHERARDO. Vedrò. VIRGINIO. Or dimmi di .

FLAMMINIO. Cosí non fusse! ch'io ho paura che questo non sia la cagion di tutto 'l mio male: perché io amai giá molto caldamente quella Lelia di Virginio Bellenzini di ch'i' ti parlai; e ho paura ch'Isabella non dubiti che questo amor duri ancora e, per questo, non mi voglia vedere. Ma io gli farò intendere ch'io non l'amo piú; anzi, l'ho in odio e non la posso sentir ricordare.

Ed anco i Baroni romani inaspriti da Gregorio egli si conciliò, fino a dissimulare l'omicidio del suo nipote Felice commesso per ordine di Paologiordano Orsino, il quale non si fidando di coteste lustre si cansò con la sua Accorambona a Venezia; e a torto, imperciocchè il Papa s'industriasse imparentarsi con le case baronali Orsini e Colonna maritando due sue nipoti con Marcantonio Colonna, e Virginio Orsini, assegnando doti, doni, ed elargizioni le quali a cotesti tempi giudicate mirabili, oggi parrebbero immani; per certo tra danari, gemme, entrate, e di ogni ragione comodi non portarono le spose ai loro mariti meno di un milione di scudi per una.

VIRGINIO. Aveva arme? PEDANTE. Credo de . VIRGINIO. Costui sará stato preso: ché abbiamo un podestá che scorticarebbe li cimici. PEDANTE. Io non credo però che a' forestieri si faccia queste scortesie. GHERARDO. Addio, Virginio.

Io ho le piú belle veste e' piú bei vezzi e le piú belle collane e' piú bei finimenti da donne che uom di Modena. VIRGINIO. Sia con Dio. Son contento d'ogni suo bene e tuo. GHERARDO. Sollecita. VIRGINIO. Della dote, quel ch'è detto è detto. GHERARDO. Credi ch'io mi mutassi? Addio. VIRGINIO. Va' in buona ora.

CLEMENZIA. Dicevo ch'io non sapevo pensare quel che si volesse dire che una gattina bella, ch'io ho, che l'ho tenuta quindici perduta, questa mattina è tornata; e, poi ch'ella ebbe preso un topino nel mio camarin buio, scherzando con esso, mi riversciò un fiasco di tribiano che me lo aveva dato il predicator di San Francesco perch'io gli fo le bocate. VIRGINIO. Cotesto è segno di nozze.

Fu gran connestabile del regno di Napoli, dove si legò strettamente alla dinastia d'Aragona, egli stesso si chiamò de Aragona, al servizio del re Alfonso II e quindi di Ferdinando II. Fu incaricato di arrestare la marcia di Carlo VIII di Francia, attraverso l'Etruria, ma i figli di Virginio, Giovanni Giordano e Carlo, per ordine del padre, secondo i patti convenuti, consegnarono al monarca che si dirigeva alla conquista di Napoli, i loro castelli e questa inevitabile defezione degli Orsini dischiuse al conquistatore la via di Roma.