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E gli farò ogni fede ch'ella vorrá di non arrivar mai dove lei sia. E voglio che glie lo dica tu, a ogni modo. LELIA. Oimè! FLAMMINIO. Che hai? Par che tu venga meno. Che ti senti? LELIA. Oimè! FLAMMINIO. Che ti duole? LELIA. Oimè! Il cuore. FLAMMINIO. Da quanto in qua? Appoggiati un poco. Duolti forse il corpo? LELIA. Signor no. FLAMMINIO. E forse lo stomaco ch'è indebilito?

SPELA. Ehi, liberalaccio! E a me che darete? CLEMENZIA. Tanto fusse voi in grazia del duca di Ferrara quanto voi sète in grazia di Lelia, che buon per voi! Ma ! Voi la dileggiate: ché, se voi gli volesse bene, non la terreste in queste trame cercaresti di tuorgli la sua ventura. GHERARDO. Come torgli la sua ventura? Io cerco di darglila, non di torgliela.

ISABELLA. Mirate se v'è niuno. LELIA. Non ve l'ho detto? Non si vede persona. ISABELLA. Oh! Io vorrei che voi tornasse dopo disinare quando mio padre sará fuora. LELIA. Lo farò; ma, come passa il mio padron di qui, di grazia, fuggite e serrategli la finestra in fronte. ISABELLA. S'io non lo fo, non mi vogliate piú bene. SCATIZZA. Dove diavol gli tien la man, colei? CRIVELLO. Oh povero padrone!

GHERARDO. Fabrizio. CLEMENZIA. S'io 'l credessi, ti darei un bacio. GHERARDO. che la gioia è bella! Famel piú presto dare a Lelia. CLEMENZIA. Io vo' correre a dirglielo. GHERARDO. Ed io a darne un follo a quella sciagurata che l'ha lasciata partire. PASQUELLA fante, sola. Uh trista a me! Io ho avuta fatta la paura ch'io son uscita fuor di casa.

SPELA. Ed io ho a comprare il zibetto a quel pazzo del mio. LELIA da ragazzo sotto nome di FABIO e FLAMMINIO giovene innamorato. FLAMMINIO. Gli è pure una gran cosa, Fabio, che, in fino a qui, non abbi potuto cavare una buona risposta da questa crudele, da questa ingrata d'Isabella.

Che , che , ch'io sarò indivino! LELIA. Addio. ISABELLA. Udite: vi volete partire? SCATIZZA. Basciala, che ti venga il cancaro! CRIVELLO. L'ha paura di non esser veduta. LELIA. Orsú! Tornatevi in casa. ISABELLA. Voglio una grazia da voi. LELIA. Quale? ISABELLA. Entrate un poco dentro a l'uscio. SCATIZZA. La cosa è fatta. ISABELLA. Oh! Voi sète salvatico! LELIA. Noi sarem veduti.

PEDANTE. Padrone, oh quanto mutatur ab illo! E' non è piú fanciullo da pigliare in collo. Voi non lo conoscereste. Gli è fatto grande. E so certo che non riconoscerá voi, cosí sète mutato! Praeterea avete questa barba, che prima non la portavate; e, s'io non vi sentivo parlare, non vi arei mai conosciuto. Che è di Lelia? VIRGINIO. Bene. Gli è fatta grande e grossa.

CLEMENZIA. Se io lo so, perché mel dici? Segui. LELIA. Perché, se questo non t'avesse ridetto, non potresti saper quel che segue. Avvenne che, in que' tempi, Flamminio Carandini, per esser de la parte che noi, prese stretta amicizia con mio padre; e, ogni giorno, ogni giorno, veniva in casa; e, alcuna volta, molto segretamente mi mirava, poi, sospirando, ancora abbassava gli occhi.

Certo, che ecco la sua balia: che mi torrá fatica di mandarla a chiamare perché accompagni in qua Lelia. CLEMENZIA balia e VIRGINIO vecchio. CLEMENZIA. Io non so quel che si vorrá indovinare che tutte le mie galline hanno fatto, questa mattina, fatto il cicalare che pareva che mi volesser metter la casa a romore o arricchirmi d'uova.

CLEMENZIA. In buona , che Flamminio debbe essere tornato a stare in Modena, ch'io veggio l'uscio suo aperto. Oh! Se Lelia lo sapesse, gli parrebbe mill'anni di tornare a casa di suo padre. Ma chi è questo fraschetta che tante volte m'attraversa la strada, questa mattina? Ché pur mi ti metti fra' piei? ché non mi ti levi dinanzi? ché pur ti vai attorniando? che vuoi da me?