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FRULLA. Veggasi ove son meglio trattati. AGIATO. Veggasi chi tien piú dilicato. STRAGUALCIA. Che tanto «dilicato, dilicato, dilicato»? Io vorrei, una volta, empire il corpo meglio e star manco dilicato, per me, io; ché tanta delicatezza è cosa da fiorentini. AGIATO. Tutti cotesti alloggian con me. FRULLA. Alloggiavano; ma, da tre anni in qua, tutti vengono a questa insegna.

STRAGUALCIA. Non anco. PEDANTE. Vien qua. Fa' motto al padron vecchio. Questo è messer Virginio. STRAGUALCIA. Èvvi passata la còllora? PEDANTE. Non sai ch'io non tengo mai còllora con te? STRAGUALCIA. Fate bene. PEDANTE. Or da' qua la mano al padre di Fabrizio. STRAGUALCIA. Porgetemela voi. PEDANTE. Non dico a me; dico a questo gentiluomo. STRAGUALCIA. È questo il padre del nostro padrone?

STRAGUALCIA. Ah! ah! Non tel dissi io? VIRGINIO. Che è della mia figliuola? Díemela, ch'io la vo' menare a casa mia. E voi avete trovato Fabrizio? PEDANTE. , ho. VIRGINIO. Dov'è? PEDANTE. Qui dentro, che ha tolto una bellissima moglie, se ne sète contento. VIRGINIO. Moglie, eh? e chi? STRAGUALCIA. Molto presto! Ricco, ricco! PEDANTE. Questa bella e gentil figliuola di Gherardo. VIRGINIO. Oh!

Quando c'è de la robba assai, l'uom può mangiar quel poco o quel molto che gli piace; il che del poco non accade. Poi, come l'uomo comincia, l'appetito cresce e bisogna empirsi il corpo di pane. STRAGUALCIA. Tu sei piú savio delli statuti. Io non viddi mai uomo che intendesse meglio il mio bisogno di te. Va', ch'io ti vo' bene. FRULLA. Va' un poco in cucina, fratello, e vede.

PEDANTE. Tu che dici? AGIATO. Io vi darò animelle di vitella, mortatelle, vin di montagna; e, sopra tutto, starete dilicati. FRULLA. Io vi darò piú robba e manco dilicatura. Se venite con me, trattarovvi da signori e 'l pagamento sará a vostro modo; ove, allo «Specchio», vi mettará a conto fino le candele. Fate voi. STRAGUALCIA. Padrone, stiam qui, ché gli è meglio.

STRAGUALCIA. Aviamo a contare i mattoni? Ci sará facenda! Vorrei che noi andassemo piú presto in qualche luogo che facessemo colazione, io. PEDANTE. Iandudum animus est in patinis. FABRIZIO. Che arma è quella di quei succhielli? PEDANTE. Quella è l'arma di questa communitá e chiamasi la Trivella. E, come a Fiorenza si grida: «Marzocco! Marzocco!» e a Vinegia: «San Marco!

San Marco!» e a Siena: «Lupa! Lupa!», cosí qui esclamano: «Trivella! Trivella!». STRAGUALCIA. Io vorrei piú tosto che noi gridassemo: «Padella! Padella!». FABRIZIO. Quella la conosco. È l'arme del duca. STRAGUALCIA. Maestro, vorrei che voi portasse un poco questa valigia, voi. Io ho secche le labbra ch'io non posso parlare. PEDANTE. Orsú, che ti cavarai la sete poi!

STRAGUALCIA. È quello al qual i modanesi volevon far la guaina? e che dicono che la sua ombra fa impazzar gli uomini? PEDANTE. , cotesto. STRAGUALCIA. Io so ch'io non uscirò di cucina, per me. Chi ci vuole andar ci vada. Or sollecitiam d'alloggiare. PEDANTE. Tu hai una gran fretta. STRAGUALCIA. Cancaro!

PEDANTE. Omnis repletio mala, panis autem pessima. STRAGUALCIA. Pedante poltrone! Ti rompo, un , la bocca, s'io vivo. AGIATO. Venite, gentiluomini, ché lo star fuore al freddo non è cosa da savi. FABRIZIO. Eh! Noi non siam cosí gelosi, no. FRULLA. Sapiate, signori, che questa ostaria dello «Specchio» soleva esser la megliore ostaria di Lombardia.

Padrone, son tante pignatte intorno al fuoco, tanti pottaggi, tanti savoretti, tanti intengoli, spedonate di starne, di tordi, di piccioni, capretti, capponi lessi, arrosto e miramessi, guazzini, pasticci, torte che, s'egli aspettasse il carnovale o la corte di Roma tutta, gli bastarebbe. FRULLA. Hai tu bevuto? STRAGUALCIA. E che vini!