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FABRIZIO. Ho sentito ancor dire «Tu hai tolto a menar l'orso a Modana». Che vuol dire? dov'è questo orso? PEDANTE. E' son dettati antiqui de quibus nescitur origo. FABRIZIO. Certo, maestro, che questa terra par che mi venga di buono. STRAGUALCIA. Ed a me vien di migliore, ch'io sento qua presso uno odor d'arosto che mi fa morir di fame. PEDANTE. Oh!

GHERARDO. Lasciatemi! PEDANTE. Che differenzia è la vostra? GHERARDO. Questo traditore m'ha disfatto. PEDANTE. Come? GHERARDO. S'io non lo taglio a pezzi, s'io non lo squarto con questa ronca... PEDANTE. Ditemi, di grazia, come la cosa sta. GHERARDO. Entriamo in casa, poi che il traditore s'è fuggito, ch'io vi contarò ogni cosa.

All'ultimo ti fa' una succhiata de mostacci ammolliti nel detto liquore, perché ti servirá per una seconda bevuta, per un sciacquadente. PEDANTE. Presto, che stai addormentato sul bicchiero. LARDONE. Metti pian piano il vino, di grazia, per vita tua, ché vorrei piú tosto sparger tutto il mio sangue che n'andasse una goccia per terra. Questo è vino d'una orecchia.

PEDANTE. Dov'è quel teutonico che mi ricevè prima in questo ospizio? GIACOCO. O che arraggie, che tante tente tonte! Tu sbarii, poveriello. PEDANTE. Dico «teutonico», cioè germano, idest todesco. Germani sunt Germaniae populi, e sono detti «teutonici» dal lor dio detto Teviscone. GIACOCO. Che ne volimmo fare nui de ssi chiáiti? chi t'addomanna chesse cincorane?

Sarò propalato per infame per tutto il mondo. LARDONE. Anzi per mio, perché mi publica per un affamato. PEDANTE. A te pare cosí? LARDONE. Anzi è cosí, e non mi pare; perché io son quello che resto morto di fame e di sonno. PEDANTE. Anzi, a tutti due; e tutti due restiamo affrontati e di affronto grande: a me per le donne e a te per la fame.

LARDONE. Come posso partirmi, se queste porchette infilzate mi tengono incatenato, posso distaccar la vista da questi salami, pollami? lasciatemi far un altro poco l'amore. PEDANTE. Dii talem avèrtite pestem, o sarcofago, o lupus luporum, o asine asinorum! LARDONE. Io asino e tu un bue, siamo bene accoppiati!

LIMOFORO. Tu non sei Limoforo; ma vorresti esserci per ingannar me, che sono il vero Limoforo. PEDANTE. Tarde venisti, domine. PSEUDONIMO. Son venuto molto presto, piú che aresti voluto; e mal per voi. LIMOFORO. Tu veramente sei un furfante, un truffatore. PSEUDONIMO. Voi molto vi discomponete verso di me. LIMOFORO. Perché n'ho ragione. PSEUDONIMO. Che ragione?

PEDANTE. Avea alcun'altra donna al suo famulizio? PSEUDONIMO. Una sua balia chiamata Lima. PEDANTE. Voi come la perdeste? PSEUDONIMO. Nel tempo della peste di Napoli, io appestato con la mia moglie e figli fummo portati al lazaretto a San Gennaro, dove morí mia moglie e il figlio, e restò la casa sola; e la balia, per timore che non sortisse la medesima sciagura, se ne venne a Salerno.

VIRGINIO. Che mirate, uomo da bene? PEDANTE. Certo, questo è il padrone. GHERARDO. Lascia mirar quel che gli piace. Debb'esser poco pratico in questa terra: ché, negli altri luochi, non si pon mente a chi mira come qui; ma si lascia mirar ognuno. PEDANTE. S'io miro, io non miro sine causa. Ditemi: conoscete voi in questa terra messer Virginio Bellenzini?

CAPPIO. Eccolo, che star mirando. LARDONE. Miro questo mirabil vino come schizza, brilla e saltella da se stesso; mostra la schiuma, poi la risolve in perle grandi, poi in piú picciole e le picciole in nulla. O che bevanda celeste piú che nettare e pania che inveschia! PEDANTE. Accelera il bere.