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<<S'ei posson dentro da quelle faville parlar>>, diss'io, <<maestro, assai ten priego e ripriego, che 'l priego vaglia mille, che non mi facci de l'attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver' lei mi piego!>>. Ed elli a me: <<La tua preghiera e` degna di molta loda, e io pero` l'accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna.

PANURGO. Se può dir mia madre, ché questa mattina, uscendone, mi ha partorito. PELAMATTI. Dio ti facci esser nato in buon ponto. Figlio di questa porta, mi sapresti dir se dentro ci fusse Facio? PANURGO. Facio ti sta innanzi e parla teco. PELAMATTI. Dunque, voi sète... PANURGO. Si, si, Facio padre di Alessio. PELAMATTI. Me l'avete tolto di bocca, che proprio volea dimandarvi se voi eravate Facio.

Anco ti fo un'altra petizione per le due colonne de' padri che m'hai posti in terra a guardia e doctrina di me, inferma, miserabile, dal principio della mia conversione infino a ora: che tu gli unisca e di due corpi facci una anima, e che neuno actenda ad altro che a compire in loro, e nei misterii che tu l'hai posti nelle mani, la gloria e loda del nome tuo in salute de l'anime.

Ecco, carissima Melitea, sarai padrona della casa o mia regina; e se mi facci un figlio, mia carissima moglie, per te obliarò la perdita della mia amata consorte e la rapina dell'unica mia figliuola Alcesia. Anzi reputa, da oggi innanzi, che io sia tuo servo, e in dono ti do tutta la mia robba e me medesimo.

PEDANTE. Questo era il Cerriglio; e qualche diavolo l'averá fatto trasmutare in casa. LARDONE. Andiancene, padrone, ché quello medesimo negromante queste parole non le facci diventare tante bastonate, come ha fatto diventare pur quei fegadelli e salsicce.

ESSANDRO. Farò che tocchi la veritá con le mani. NEPITA. Or questo è altra cosa. ESSANDRO. Va' e dille che si facci su la fenestra, ché vuol ragionarmi, e a questo effetto sono qui fuora. NEPITA. Volentieri.

Non teme briga, ché non è chi le facci guerra; non teme di fame di caro, perché la fede vide e sperò in me, suo Creatore, unde procede ogni ricchezza e providenzia, che sempre gli pasco e gli notrico. E trovossi mai uno vero mio servo, sposo della povertá, che perisse di fame?

VIGNAROLO. Un cuor mi dice che lo facci; un altro, no. Ascolta e fa' come ti dico io. Come sarò transformato, entrarò in casa sua, mi goderò Armellina. Ma se son Guglielmo, Guglielmo goderá quella dolcezza, non il vignarolo: avrò fatto la caccia per altri. No no, non lo vo' fare in conto veruno, morrò piú tosto!

Perché non è avvenuto a me un tal caso? CLEMENZIA. Eh! In ogni modo, voi non lasciareste Isabella. FLAMMINIO. Io lasciarei, quasi che non t'ho detto Cristo, per una tale. E pregoti, Clemenzia, che tu mi facci conoscer chi è costei. CLEMENZIA. Son contenta.

Vi fará cosí tutta la notte: lascialo in sua malora! CAPITANO. Giá è riserrato. Tic, toc. ERASTO. Chi è ? CAPITANO. Cosa d'importanza. ERASTO. Chi sei che batti? CAPITANO. Un vostro amico, e vorrei dir una parola ad Erasto di cose importanti: che di grazia si facci su la fenestra. ERASTO. Chi sei, olá? chi domandi?