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(spingendo nervosamente lontano l'incartamento, che si squinterna, parte sulla tavola e parte per terra) Ah chi si', di marmu?.... Agghiazzatu!... Lèvili, 'ssi carti.... 'annunca 'i scicu!.... (le spinge ancora in l

GIACOCO. Arrássate dalla poteca de Giangilormo Spiccicaraso, ca m'ave arrapezzate le scarpe e le devo dare cinco tornisi, e me vole accosare. CAPPIO. Giá siamo gionti. GIACOCO. Tózzola la porta. CAPPIO. Tic toc, tic toc. GIACOCO. Quanto sta ad aprire sta madamma tráccola? Priesto, pettolosa mezzacammisa, che te puozze rompere lo cuollo pe ssi scalandruni!

Ma bussate, bussate forte, ché ben ve responderanno. RITA. Vedine nessuno tu? MALFATTO. : veggo la gatta. Volete che la chiami? Mis! mis! Non ce vole venire. RITA. Oh bestia balorda! Io pichiarò tanto che qualcuno si affacciará. MALFATTO. Bona notte. M'aricomando. RITA. Addio, addio. Tic, toc. MALFATTO. Oh! me ssi era scordato.

La vaghissima Marianna Mantegna, col suo delizioso neo sul seno d’alabastro, ispirava al Meli la canzonetta Lu Neu, che contiene non innocenti arditezze: Tu filici, tu beatu 'Nzoccu si’, purrettu o neu! 'Ntra ssu pettu delicatu Oh putissi staricc’eu! 'Ntra ssi nivi ancora intatti Comu sedi, comu spicchi! Ali! lu cori gi

Tu pe isso ch' 'e fatto? Niente. E io pe causa soia nun so' cchiú guardata 'nfaccia d' 'a gente! Tu 'o saie mo ca sta buono e io 'o saccio 'a quanno steva malato, e mme mannava a chiammá, e io passavo 'e nuttate chiare chiare vicino 'o lietto suio. E mo' te ne viene tu e t' 'o vuo' spusá? Ma che l' 'e' truvato 'n terra? Ma che ssi' pazza o mme vuo' fa ascí pazza a me?

Sa unni 'i porta 'ssi bigghietti? Chissi chiddi d' 'a vecchia sunnu! Quarchi autra 'nfamit

MALFATTO. Vedi che pur me ssi è ricordato lo nome. Oh che poco cervello! Gran cosa ch'io non tengo troppo bene a mente! e sono cosí grande! CECA. Dove sei? non odi? Oh poco-in-testa! MALFATTO. Che volete? CECA. Adesso viene abasso. MALFATTO. , , venga pur, ché lo mastro l'aspetta ed è un pezzo che sta in ordine. IULIA. Chi è quello che vole Minio? MALFATTO. Simo noi, ché lo vole lo mastro.

Ma sai che si vuol fare? che, come te ssi rimbatte piú innanzi, tu gli va di dietro; ch'io me delibero di sapere s'ell'è dessa o no. PRUDENZIO. Impulsant campanicule. RUFINO. Patrone, ecco il vostro rivale. CURZIO. Guarda cera de furfante! Andiamogli incontro.

E sono come l'ortiche che pultano a chiunque le tagne; e sono inepti a tutte le cose. MALFATTO. O misser, sapete? Ho trovata a quella... Oh! non me se recorda. Ah! ah! ; la patrona de madonna Iulia. PRUDENZIO. Che patrona hai trovata? Ché non lo dici? MALFATTO. Quella che va fuori, che parla sempre con io. PRUDENZIO. E che ti ha detto? MALFATTO. Me ssi aricomanda e me ha ditto che me vol bene.

Ma, se questo sciagurato me ssi rintoppa innanzi, gli vo' dir quattro parole a mio modo e avvertirlo che si rimanga di andargli, ogni notte, a cantar all'uscio, se non vole ch'io li armi le schiene di bosco. O Rufino! Non odi? RUFINO. Signore, che volete? CURZIO. Chiama qui fuori Trappolino. Spedisciti, ch'ell'è tardo. Idio, aiutami in tanta necessitá in quanta ora me trovo.