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Aggiornato: 22 giugno 2025


Ah, se lo Swinburne diceva: «a me ripugna immaginare certe cose che essi hanno saputo scoprire nei miei versi», io temo che Marinetti possa fare eguale discorso. E potrebbe anche lui aggiungere: «evidentemente, io non sono virtuoso abbastanza che io possa intenderli, e ringrazio il cielo di non esserlo. La mia corruzione arrossirebbe del loro pudore».

Iddio pur voglia che non sia intervenuto ora qualcosa che di lei insieme e d'esta afflitta vita mi faccia privo. FRONESIA. Lúcia, buona nuova. LÚCIA. E che mi può venire in questo stato che mi possa allegrar? FRONESIA. Passa Filocrate. Debbe esser ritornato a l'uccelliera. Fatti a vederlo. LÚCIA. Ah fosse pure il vero! FRONESIA. Dico che passa giú. LÚCIA. Guarda se alcuno è in su la strada.

Allora l’Airoldi annunzia la stampa del primo foglio della traduzione: col quale si propone di render giudici del lavoro del Vella gli orientalisti oltramontani. Vella si vede perduto, e ricorre ad uno stratagemma tutto cagliostriano: mette le mani sul codice di S. Martino e lo interpola, lo altera, lo corrompe in guisa da non potersene più cavare costrutto di sorta. Il maggiore strazio è nelle prime pagine; e perchè non si possa scoprir la differenza dell’inchiostro recente della manomissione sull’inchiostro antico del testo originale, e le difficolt

«Questo è più di quello che io possa sopportare! O uomo, o demonio, tu te ne menti per la gola.» E la voce: «menti per la golaL'uomo d'arme calò la visiera, trasse la spada, e avvoltosi il mantello intorno al braccio sinistro fece atto di avventarsi sotto la volta.

E questa è l'allegrezza che mi portavi? LECCARDO. Io non penso che possa esser migliore. DON FLAMINIO. E dove la fondi? LECCARDO.... Non mi avete voi detto che non la desiate per moglie?

Come mai potete illudervi a credere che la rivelazione di questa vita possa compirsi per opera d'uomini, nei quali è muta la voce di quella tradizione e di quei ricordi, e ai quali s'agita in seno il segreto d'un'altra Patria? E la Patria è, prima d'ogni altra cosa, la coscienza della Patria.

Per il che siamo venuti in pensiero di pubblicarlo, affinchè possa, chi lo vuole, ottenerne lo stesso effetto senza difficolt

7 Ma quando va più inanzi, più s'ingrossa il fumo e la caligine, e gli pare ch'andare inanzi più troppo non possa; che sar

«Io l'ho trafitto, e pure mio padre mi avea comandato di amarlo: io l'ho trafitto, e pure il grido del mio cuore, più forte di quello di mio padre, mi costringeva ad amarlo! I nostri genitori quando nascemmo c'imposero i loro nomi medesimi, perchè la morte dubitasse di avere dominio sopra l'amicizia delle nostre famiglie; amavano che i secoli maravigliati riputassero i Folcando e i Gostanzo eterni tra i mortali per volere di Dio, onde stessero esempio perenne di questo nobile affetto. Bevemmo nella medesima tazza, riposammo nel medesimo letto, furono i nostri studii, e i nostri sollazzi comuni, e crescemmo stupore degli uomini, e benedetti dal Signore. Quando i nostri padri morirono, le ultime loro parole furono preghiere e consigli, per conservare lo scambievole affetto, ed aggiungevano essere questa la porzione più preziosa del retaggio che ci lasciavano. I nostri campi non ebbero confine, i nostri armenti confusi; volentieri ci saremmo ridotti ad abitare un solo castello, ma per rispetto alle memorie paterne non volevamo fare l'altro deserto: convenimmo dimorare alternamente ora l'uno ora l'altro, e così facemmo. Scorsero anni felici, di cui la rimembranza nell'angoscia presente è tormento più feroce di quello che la vendetta possa desiderare al nemico. Allo improvviso Berardo diventa pensoso, spesso si smarrisce per la foresta, tardi ritorna al castello, per quanto siasi affaticato, può gustare cibo, o bevanda. Tu soffri, amico mio, un giorno gli dissi, ed egli mi rispose: Io amo; gli domandava: Qual donna? Era una santissima fanciulla, figlia di povero Cavaliere, che abitava forse due miglia distante dai nostri castelli. I cuori dei giovani s'erano accesi di scambievole amore, desideravano dirselo, più desideravano renderlo sacro con la religione, ma non osavano, tanto erano verginali quelle due anime innocenti! Io fui quegli che tentai la fanciulla; io, che la chiesi al padre; io, che apparecchiai la festa, e sollecitai il rito; per nulla ne divenni geloso, che ben conosceva lo affetto di moglie essere diverso da quello di amico, e il cuore di Berardo restarmi pur sempre intero. Vi narrerò la gioia dei vassalli, il tripudio degli sposi, l'allegrezza dei parenti, il fragore dei conviti? Io lascio queste cose come non importanti al mio assunto; lascio ancora i bei giorni che tennero dietro a cotesto caso, e narro quelli d'ira e di sangue. La bella sposa ebbe vaghezza di accompagnarci alla caccia, noi la menammo; e desiderosi di preda tanto ci avvolgemmo per la selva, che ormai diventava impossibile di poter giungere avanti vespro al castello. Uscimmo dalla foresta, e c'incamminammo verso una casa, che compariva da lontano in mezzo della pianura. Arrivammo. Un Cavaliere in modo cortese c'invita a entrare; io lo guardo in faccia, e sento turbarmi da non mai più sentito sgomento, che poi a prova ho conosciuto essere un miscuglio d'odio, di disprezzo e di fastidio: volgo il cavallo per fuggire colui che aveva suscitato nella mia anima la sensazione del rettile velenoso; mi rattiene Berardo, e mi forza a seguirlo: entro in quella casa tremando, presago di qualche gran danno; il Cavaliere mi sorride; quel sorriso mi strazia le viscere; abbasso lo sguardo per non vederlo; non parlo, ricuso il cibo, fingo súbito male, e affretto la partenza; per via di tratto in tratto giro la testa sospettoso, come se alcuno m'inseguisse, e prorompo in voci di minaccia: Berardo e Messinella stimano ch'io abbia perduto il senno. Passano alcuni giorni nei quali non vedendo, rammentando il fatale Cavaliere, la calma torna a serenarmi lo spirito. Certa sera, mentre cavalcava a diporto, sento sollevarmisi in mente irresistibile desiderio di tornare al castello; sprono a precipizio il destriero, arrivo, e vedo un cavallo legato nella corte; ascendo le scale, un Cavaliere favellava domesticamente con Messinella, la teneva stretta per mano; ella era pallida, e sembrava spaventata di trovarsi sola con quell'uomo; al rumore dei miei passi costui si volge, troni del cielo! io vedo l'ospite spaventoso. Egli si leva subitamente, mi viene incontro, mi saluta e mi porge la mano; la mia non si mosse, pareami averla incatenata sul fianco; le parole che favellai furono poche, ed amare: accortosi ch'egli era il mal gradito l

Chi può dire quanto possa sopra un cuore entusiasta l'ascendente dell'ingegno? «Mentre ero assorta così, la mia serva entrò in camera per portarmi il pranzo.

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