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E, se non sono al cane adesso, non ne vo' quattrino; che mi farebbe far senza disagio mille miei faccenduzze. Ecco Fronesia. Non par quasi turbata punto in vista. Debbe averla istimata forse anch'ella, com'ho fatto io. E dove, cosí in furia? Come andò poi la cosa? FRONESIA. Eh! manco male. Ha fatto pace meco. ARTEMONA. Lo sapeva; ché non fu mai tempesta che durasse.

Affrena alquanto questi lamenti e le lagrime e 'l duolo. Dimmi quel c'ho da fare. FILOCRATE. A queste notti, chi era quello che destro entrava ne le camere vostre? Ove è l'onore? ove è la castitá? dove è l'offizio che conveniva a saputa servente? Devevil comportar? FRONESIA. Guarda, Filocrate, che non ti inganni; perché veramente io non intendo quel che voglia dire.

Voglio che vadi a dimandar di lui in qualche luogo e che non torni a casa se non me ne dái nuova interamente. E pregal quanto puoi da parte mia ch'io li vorrei parlar. FRONESIA. Mi metto in via. E lascia fare a me, ché non è un'ora ch'io l'ho parlato. Ma tu, se madonna gridasse, sappi trovar qualche iscusa. Ed io son qui in un punto. LÚCIA. Va', sorella: e sappi far.

FRONESIA. Passo ogni giorno quasi dal suo palazzo e bene spesso vado da la madre. E, per tuo amore, sempre mi viene in contra e mi saluta e fa carezze. Ed ivi di continovo usa colei; che avrá forse giá detto di quella subbitezza. LÚCIA. E questo pensi che l'avrá detto a lui? FRONESIA. Forse che . Ma, quando ne li avesse ancora detto, farem cosí.

O muger de bien, llamadme un po a vuestra señora; que io me muero de necessidad, por que pasa de ocho dias que io camino con la fiebre. FRONESIA. Oh che fastidio! Ti s'è pur fatto giá due volte o tre limosina. Ma siete certe genti che vi fermate a la prima in un luogo e pensate ivi, senza andare attorno, aver le spese. Bisogna, fratello, andar cercando come fanno gli altri.

Iddio pur voglia che non sia intervenuto ora qualcosa che di lei insieme e d'esta afflitta vita mi faccia privo. FRONESIA. Lúcia, buona nuova. LÚCIA. E che mi può venire in questo stato che mi possa allegrar? FRONESIA. Passa Filocrate. Debbe esser ritornato a l'uccelliera. Fatti a vederlo. LÚCIA. Ah fosse pure il vero! FRONESIA. Dico che passa giú. LÚCIA. Guarda se alcuno è in su la strada.

Ha la cattiva cera. FRONESIA. Non guardare a quello: ché, se poi la cognoscessi, avresti caro che ti fosse amica; ché ha poche pari. LÚCIA. E in che? FRONESIA. Prima, ella cuce e fa de le suoi man quello che vuole. Fa poi profumi rari e d'ogni sorte acque e belletti.

FILOCRATE solo, FRONESIA fante a la fenestra, PILASTRINO. FILOCRATE. E ch'io mi sia ingannato non può giá star; ché questa è pure appunto l'ora che m'ordinò. Vo' ritornare un'altra volta. Vincer pur devrebbe la lunga servitú, la mia pazienza cruda mente. Visch'! visch'! isch! Oh! Eccola; è venuta. Pensai bene: ché, s'io non ritornava, forse ch'ora s'andava al letto; c'ha la scuffia in testa.

E che sia il vero, di subito ch'io giungo in su la porta, te ne dará segnale; e tu allor volgi a dietro. Sei contento? FILOCRATE. Son sforzato esser contento, poi che cosí, in questo contento, chi potria me sovr'ogni altro far felice e contento? FRONESIA. Vien pian piano. FILOCRATE. E che sará venuto ora di nuovo, sfortunato Filocrate, oltre a tante giá passate disgrazie?

FILOCRATE. Aimè! che in vano prego un sasso, una tigre e mi querelo. Altronde porti i miei lamenti il vento; ch'io mi risolvo al tutto di cangiarmi di sentimento, poi che piace al cielo. La prima non è giá, ma ben fia forse l'ultima. , che ancor ne piangerai! FRONESIA. Oh! Sta', ché si scorruccia. Voglio andare, ch'io creperei.