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Stavolta la leggenda è più ristretta: ed il triste eroe ne è un prete. Giuseppe Balsamo da Palermo sceglieva a teatro delle sue brutte imprese l’Europa tutta; Giuseppe Vella da Malta svolgeva l’opra sua di falsificatore di codici e di creatore di favole nella sola Palermo: strana coincidenza di malvagit

Di tanto in tanto qualche nuvoletta sorgeva ad offuscare il sereno dell’anima di Mons. Airoldi. Quel nome, quella data, non sarebbero un errore di lettura? Ma il Vella, invitato a rileggere il testo di quel nome e di quella data, non avea nulla da rettificare, e sugli ordini sacri giurava che le cose erano proprio come avea detto lui.

Dalla teologia e dalla letteratura il Gregorio passava alla storia ed alla diplomatica, e nel tranquillo presbiterio di S. Matteo nel Cassaro, solo e senza maestri, sudava ad imparare la lingua araba, nella quale si levava maestro così esperto e sicuro da strappare la maschera all’Ab. Vella.

Tra essi, circondato della falsa aureola di sapienza arabica, si assise superbo il più gran ciarlatano del secolo dopo Cagliostro in Sicilia, l’Abate Vella, le cui sfacciate creazioni storiche ci siamo provati a riassumere in un precedente capitolo.

Hager, infatti, raccontava che in Palermo, «per ben sei mesi l’argomento della conversazione giornaliera erano gl’inganni del Vella. Si sentivano donne a ragionare di codici normanni, di manoscritti martiniani e di lettere cufiche come se fossero tante diplomatiche. Quantunque non ne capissero sillaba, pure volevano parlarne e, quel che è più, darne giudizio.

Guardando da una finestra dell’albergo di Madama Montaigne, W. Goethe vide il 13 aprile del 1787 uno di questi graziati. La impressione che ne riportò non fu favorevole. Ott’anni dopo, il 20 maggio del 1795, passando dal Piano di S.a Teresa, Hager vide per caso decapitare F. P. Di Blasi: e ne restò penosamente colpito. Il futuro autore del Faust parve sorridere della toletta del graziato; il giudice dell’impostore Vella si rammaricò del giustiziato: entrambi visitatori della Citt

Mons. Airoldi, Giudice della Monarchia, amantissimo di cose sicule e delle vicende dei Mussulmani in Sicilia ricercatore premuroso, ma, perchè ignaro di Arabo, non fortunato, gli faceva allora domandare se si fosse mai imbattuto in alcun codice che portasse nome a quella dominazione tra noi: ed il Vella rispondeva uno averne veduto con l’Ambasciatore nella Biblioteca dei Benedettini di S. Martino, che narrava appunto della conquista musulmana dell’Isola; difficilissima però esserne la lettura, non che la intelligenza.

Carì scaricava cinque corrosivi sonetti addosso al Vella ed alla Commissione anarabica giudicatrice di lingua araba. Villabianca, sdegnatissimo, voleva mandato il Vella alla forca, della quale apprestava egli medesimo il disegno³⁶⁷. Più tardi Hager rivelava tutto al mondo intero in una memoria uscita contemporaneamente, in due lingue³⁶⁸. ³⁶⁶ Meli, Poesie, p. 97.

Giuseppe Hager ritornava nella Capitale il 21 dicembre 1794. A spese del Re il bravo sinologo riceveva particolare incarico di studiare la questione dei due codici e di darne parere. Vella, che avea bravato per tanti anni gli avversarî, perdeva il coraggio e chiudevasi come smarrito in casa.

E pensare che appunto per questa creazione il Vella veniva chiamato ad insegnare arabo nell’Accademia (Universit