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«Io l'ho trafitto, e pure mio padre mi avea comandato di amarlo: io l'ho trafitto, e pure il grido del mio cuore, più forte di quello di mio padre, mi costringeva ad amarlo! I nostri genitori quando nascemmo c'imposero i loro nomi medesimi, perchè la morte dubitasse di avere dominio sopra l'amicizia delle nostre famiglie; amavano che i secoli maravigliati riputassero i Folcando e i Gostanzo eterni tra i mortali per volere di Dio, onde stessero esempio perenne di questo nobile affetto. Bevemmo nella medesima tazza, riposammo nel medesimo letto, furono i nostri studii, e i nostri sollazzi comuni, e crescemmo stupore degli uomini, e benedetti dal Signore. Quando i nostri padri morirono, le ultime loro parole furono preghiere e consigli, per conservare lo scambievole affetto, ed aggiungevano essere questa la porzione più preziosa del retaggio che ci lasciavano. I nostri campi non ebbero confine, i nostri armenti confusi; volentieri ci saremmo ridotti ad abitare un solo castello, ma per rispetto alle memorie paterne non volevamo fare l'altro deserto: convenimmo dimorare alternamente ora l'uno ora l'altro, e così facemmo. Scorsero anni felici, di cui la rimembranza nell'angoscia presente è tormento più feroce di quello che la vendetta possa desiderare al nemico. Allo improvviso Berardo diventa pensoso, spesso si smarrisce per la foresta, tardi ritorna al castello, per quanto siasi affaticato, può gustare cibo, o bevanda. Tu soffri, amico mio, un giorno gli dissi, ed egli mi rispose: Io amo; gli domandava: Qual donna? Era una santissima fanciulla, figlia di povero Cavaliere, che abitava forse due miglia distante dai nostri castelli. I cuori dei giovani s'erano accesi di scambievole amore, desideravano dirselo, più desideravano renderlo sacro con la religione, ma non osavano, tanto erano verginali quelle due anime innocenti! Io fui quegli che tentai la fanciulla; io, che la chiesi al padre; io, che apparecchiai la festa, e sollecitai il rito; per nulla ne divenni geloso, che ben conosceva lo affetto di moglie essere diverso da quello di amico, e il cuore di Berardo restarmi pur sempre intero. Vi narrerò la gioia dei vassalli, il tripudio degli sposi, l'allegrezza dei parenti, il fragore dei conviti? Io lascio queste cose come non importanti al mio assunto; lascio ancora i bei giorni che tennero dietro a cotesto caso, e narro quelli d'ira e di sangue. La bella sposa ebbe vaghezza di accompagnarci alla caccia, noi la menammo; e desiderosi di preda tanto ci avvolgemmo per la selva, che ormai diventava impossibile di poter giungere avanti vespro al castello. Uscimmo dalla foresta, e c'incamminammo verso una casa, che compariva da lontano in mezzo della pianura. Arrivammo. Un Cavaliere in modo cortese c'invita a entrare; io lo guardo in faccia, e sento turbarmi da non mai più sentito sgomento, che poi a prova ho conosciuto essere un miscuglio d'odio, di disprezzo e di fastidio: volgo il cavallo per fuggire colui che aveva suscitato nella mia anima la sensazione del rettile velenoso; mi rattiene Berardo, e mi forza a seguirlo: entro in quella casa tremando, presago di qualche gran danno; il Cavaliere mi sorride; quel sorriso mi strazia le viscere; abbasso lo sguardo per non vederlo; non parlo, ricuso il cibo, fingo súbito male, e affretto la partenza; per via di tratto in tratto giro la testa sospettoso, come se alcuno m'inseguisse, e prorompo in voci di minaccia: Berardo e Messinella stimano ch'io abbia perduto il senno. Passano alcuni giorni nei quali non vedendo, rammentando il fatale Cavaliere, la calma torna a serenarmi lo spirito. Certa sera, mentre cavalcava a diporto, sento sollevarmisi in mente irresistibile desiderio di tornare al castello; sprono a precipizio il destriero, arrivo, e vedo un cavallo legato nella corte; ascendo le scale, un Cavaliere favellava domesticamente con Messinella, la teneva stretta per mano; ella era pallida, e sembrava spaventata di trovarsi sola con quell'uomo; al rumore dei miei passi costui si volge, troni del cielo! io vedo l'ospite spaventoso. Egli si leva subitamente, mi viene incontro, mi saluta e mi porge la mano; la mia non si mosse, pareami averla incatenata sul fianco; le parole che favellai furono poche, ed amare: accortosi ch'egli era il mal gradito l

Coraggio, dissi loro, e mi precipitai nel compartimento attiguo dove mi seguirono una dopo l'altra, colla speranza di poter raggiungere la badessa ch'io non dubitai più essere fuggita da quella parte. Sollecitai il passo ma a poca distanza, Dio mi perdoni!, che orrore!

Bisogna per certo che siate caduto in errore, signoredisse Emilia; «le mie risposte su questo soggetto furono costantemente le medesime; è degno di voi l'accusarmi di capriccio. Se acconsentiste ad incaricarvi delle mie risposte, è un onore ch'io non sollecitai. Ho dichiarato io stessa al conte Morano, ed a voi, o signore, che non accetterò mai l'onore ch'egli vuol farmi, e lo ripeto

Passava intanto in quei lavori, non solamente tutto il novembre, ma il dicembre; con tale rovina della fiducia di tutti, e con tale esaurimento di mezzi da comandarmi imperiosamente l'azione. La risolsi pel finir di gennajo e sollecitai perchè verso quel tempo s'operasse in Lione.

Non desolarti tanto, imbecille, perchè la tua sciocchezza potrebbe forse riescirti come tutte le sciocchezze. Era vero ciò ch'egli diceva? No. Ma io sollecitai a spicciarmi di lui per correre alla Borsa. Arrivai alle 2.