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PASQUELLA. «Che fa lo mio amor ch'egli non viene? L'amor d'un'altra donna me lo tiene». Meschina a me! GIGLIO. E que! Non faze, donna Pasquella, que á qui sta sperando que gli apriate. PASQUELLA. «Non ti posso servir, signor mio caro». Oimè! GIGLIO. Aze musiga esta male avventurada. Ya non se accuerda que á qui sto. Daré colpo in esta puerta, voto á Dios. Tic, tac, tic, toc. PASQUELLA. Chi è ?

Chiama un po', de grazia, quel cotale. CECA. Che cotale? Perché non parli? MALFATTO. Vorria che tu me chiamassi quello che mena. CECA. Tu devi esser imbriacco. MALFATTO. Per questa croce, che non ho ancora beuto. Odi, odi; non te spartire. Oh cancaro! S'io torno al mastro e dico che non me hanno voluto aprire, me dará delle staffilate. Io so che voglio bussare. Tic, toc, tac.

Stando sempre insieme, seguitando a girare così, tutte le mattine, ormai da lunghi anni, erano giunti a somigliarsi un poco, l’uomo ed il cavallo; avevano qualche volta gli stessi movimenti. Tac... tac-tac-tac... e ogni tanto un inciampo.

MALFATTO. Misser no. Non ce è altri qua che lui, esso e io. RUFINO. Con chi l'hai? a chi respondi? MALFATTO. Orsú! Bona sera. RUFINO. Malanno che Idio te dia! Tic, tac. MALFATTO. Che vòi? che hai? RUFINO. Ècci el tuo patrone in casa? MALFATTO. Che patrone? che patrone? Io non ho se non un compagno che sta qua dentro che se chiama lo mastro. RUFINO. Va'; e digli che venga un poco abasso.

MALFATTO. , : ce so' bello e andato. REPETITORE. Io me lli voglio scoprire. Ch'adimandate voi? RUFINO. Voglio questo mastro di scola che sta qui. Perché? MALFATTO. Site doi adesso. E' ve veggo bene, . REPETITORE. Volete forsi parlare con lui? RUFINO. , voglio. REPETITORE. Aspetta, adunque. Oh Malfatto! Tic, tac. MALFATTO. Che te manca a ti altro? REPETITORE. Opri questo hostio.

Due postini con nella mano alzata un grosso pacco di dolori piaceri angosce. Ciriguée-guée di cancello che s'apre. Peso del sole sulla strada. Peso delle lettere nelle mani dei postini. Cameriere e portinaie corrono intorno ai due postini abbeveratoi che tengono alte chiuse le mani-rubinetti. Tac tac tac pac pac pac di passi.

Va' e ripichia un'altra volta; e, se non risponde, gitta giú la porta, ch'io voglio entrare per ogni modo. RUFINO. Cosí farò. Tic, tac, toc. TRAPPOLINO. Chi è ? chi è ? chi è ? RUFINO. Malan che Dio ti dia! TRAPPOLINO. Te dia el malanno e la mala pasqua a te. Oh patrone! Perdonateme. CURZIO. Non ti curar, forca! Vieni, vieni a oprire. TRAPPOLINO. Adesso.

Che fate? Ah! Ah! Giunti i quattro uomini sotto la corda, in meno che non lo si dice il boia calò il cappuccio sul viso del condannato, attaccò il laccio all'anello, battè il piede destro per terra, e a quel segno, tagliata dall'assistente la corda che sosteneva il peso, tac: la massa di ferro cadde sopra un materasso e Cornetta venne tirato su, a sei piedi da terra.

Ma, alla , che li voglio stracciare tutti li libri. Ben li trovarò io, ; ché non li giovará de averli nascosti sotto lo letto. Oh! Adesso che voglio achiamar quello che lui me disse che sta qua dentro. Tic, tac. CECA. Chi è la? MALFATTO. Oh! Simo noi. Tic. CECA. Chi è? non odi? MALFATTO. Te l'ho pur detto. Tic, tac. CECA. Perché pichi? non odi, no? MALFATTO. Perché me piace. Toc, tac.

Passai per la stanza dove la sera innanzi avevo ricevuto dalla bocca di mia madre la rivelazione improvvisa. Riudii l'orologio a pendolo che aveva segnata l'ora; e, non so perché, quel tic tac sempre eguale aumentò la mia ambascia. Non so perché, mi parve di sentir rispondere alla mia l'ambascia di Giuliana, a traverso lo spazio che ancora ci divideva, con un'accelerazione di palpiti concorde. Camminai diretto, senza più soffermarmi, senza evitare lo strepito dei passi. Non picchiai all'uscio ma d'un tratto l'apersi; entrai. Giuliana era l