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NARTICOFORO. Profecto desio saper chi voi sète. MORFEO. Io Ci... Cintio romano. NARTICOFORO. Di chi sète figlio? MORFEO. Di Na... Na... Nas... Nasincolfino romano. NARTICOFORO. Narticoforo vuoi tu dire? Che arte egli essèrse? MORFEO. Maestro di sco... sca... sce..., mastro di scola. NARTICOFORO. Pensava volessi dir mastro di solar scarpe. Che sei qui venuto a fare?

MINIO. Iocamo alle sculacciate. E madonna grida. LUZIO. Quanto vòi stare a tornare alla scola, tu? MINIO. Come averò pranzato. Non me vòi venir a chiamare? LUZIO. , voglio. Aspettame, sai? MINIO. Son contento. Addio. LUZIO. Addio. Bon .

Glauco appellossi; e, come fu sul fiore Degli anni suoi più verdi, ebbe desire Di porre in Rodi il piè; scola d'onore, E reggia d'armi e d'onorato ardire; Andovvi; e quivi giunto arco d'amore Il costrinse a provar dolce martire; Chè Melibea con suoi begli occhi il prese, E del giovine incauto il petto accese.

Ond'io fui tratto fuor de l'ampia gola d'inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto 'l potra` menar mia scola. Ma dimmi, se tu sai, perche' tai crolli die` dianzi 'l monte, e perche' tutto ad una parve gridare infino a' suoi pie` molli>>. Si` mi die`, dimandando, per la cruna del mio disio, che pur con la speranza si fece la mia sete men digiuna.

Ond'io fui tratto fuor de l'ampia gola d'inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto 'l potra` menar mia scola. Ma dimmi, se tu sai, perche' tai crolli die` dianzi 'l monte, e perche' tutto ad una parve gridare infino a' suoi pie` molli>>. Si` mi die`, dimandando, per la cruna del mio disio, che pur con la speranza si fece la mia sete men digiuna.

LIMA. Rotto il campo, venni in Napoli; per sovraumana diligenza che vi oprassi, potei mai averne contezza di lui che, per esser dottore e ricco, era in Napoli riconosciutissimo. GIACOMINO. O vita mia, se ti ho amata figlia d'un maestro di scola, quanto or debbo amarti figlia d'un gentiluomo! E veramente i costumi non m'hanno ingannato, che di gran lunga avanzano ogni nobiltade.

Diceva la casa mia essere appestata, che lui era Narticoforo e ch'io non fusse Gerasto; alfin volea che Cintio non fusse figlio di Narticoforo. ESSANDRO. Voi sète Gerasto medico, eh? GERASTO. Io son; che volete per questo? ESSANDRO. Avete voi avuto rissa con un maestro di scola? GERASTO. Con uno che per tale si volea far conoscere.

Tanta riconoscenza il cor mi morse, ch'io caddi vinto; e quale allora femmi, salsi colei che la cagion mi porse. Poi, quando il cor virtu` di fuor rendemmi, la donna ch'io avea trovata sola sopra me vidi, e dicea: <<Tiemmi, tiemmi!>>. Tratto m'avea nel fiume infin la gola, e tirandosi me dietro sen giva sovresso l'acqua lieve come scola.

IULIA. Dilli, al tuo maestro, che l'è un gran sciagurato. MALFATTO. È ben vero, . IULIA. E è un tristo e un gaglioffo; e che, se non è savio, gli farò romper el capo. MALFATTO. , che non possa sedere. Oh! che l'è gran poltrone, alla . IULIA. Basta. Digli pure ch'io non voglio che mio figliuolo vadia piú alla scola sua; ché non vo' che mel faccia un ruffiano. MALFATTO. È ben ruffiano, .

PRUDENZIO. Extemplo; illico; che venghi statim. MALFATTO. Messer non. Non sono stato in nessun loco. PRUDENZIO. Malan che Dio ti dia! Certe tu es insanus. MALFATTO. Misser che son sano. Sonno le scarpe che sonno rotte. Ecole: vedete. PRUDENZIO. Che che, s'io torno in scola, te darò una spogliatura! MALFATTO. Ed io me ne andarò a letto, se me spogliarete.