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MALFATTO. , : ce so' bello e andato. REPETITORE. Io me lli voglio scoprire. Ch'adimandate voi? RUFINO. Voglio questo mastro di scola che sta qui. Perché? MALFATTO. Site doi adesso. E' ve veggo bene, . REPETITORE. Volete forsi parlare con lui? RUFINO. , voglio. REPETITORE. Aspetta, adunque. Oh Malfatto! Tic, tac. MALFATTO. Che te manca a ti altro? REPETITORE. Opri questo hostio.

Ch. hor non più omai Che gli sospiri, i guai, gli affanni, e i pianti C'hai fatto & farme inanti: al vento en sparsi. No. Sai perché me fur scharsi: i tuoi soccorsi. Ch. Mai non ti tenni, in forsi, anci, più aperto: Ch'io seppi, ti fei certo: i' non te amava. No. Et hor tua voglia, è prava: come prima: Ch. Gli è più, e men fo stima: ch'io facesse. No. N'hai le voglie rimmesse: in farmi torto. Ch.

DON IGNAZIO. La vendetta facciala Eufranone suo padre, a cui hai uccisa la figlia, e che figlia! quella ch'amava piú che l'anima sua, a cui se è pesata la morte, assai piú pesará il modo della sua morte. DON FLAMINIO. Andrò ratto a lui; forsi troverò in lui quella pietá che non ho potuto trovar in voi, e li restituirò la fama come posso. DON IGNAZIO. Ecco che giunge.

RUFINO. Ve ho da parlare de cosa importante. PRUDENZIO. E da parte de chi? RUFINO. Venite a basso, se volete, che ve llo dirò. PRUDENZIO. Adesso vengo. REPETITORE. Che bona nova è questa? RUFINO. Come lui viene abasso, lo saperete. REPETITORE. Sono forsi cose d'amore? RUFINO. De grazia, non me llo adimandate; ch'io non vel voglio dire, se non ci è lui.

REPETITORE. Aspettate, ch'io pichiarò di sorte che me farò intendere allo maestro. Toc, tac, tic. PRUDENZIO. Chi impulsa la porta? Olá! REPETITORE. Ego sum, sono io. PRUDENZIO. Sei forsi el nostro substituto del ludo litterario? REPETITORE. Domine, ita. RUFINO. De corpo a tutti doi! PRUDENZIO. Chi è colui ch'è in vostro consorzio? REPETITORE. L'è uno che vole...

E, con tutto ciò, fûrno tante e tali le provisioni del detto pontefice, che, non obstante li tempi calamitosi ne' quali successe al pontificato, oltre di avere in un batter d'occhio ridotto in quiete e abbondanza tutto il Stato di Santa Chiesa, restituita la giustizia in quel vigore che poche volte ha avuto, e magnificata e abbellita Roma con far tante e tante spese come al presente si vede, ridusse millioni cinque d'oro nel castello di Santo Angelo, dove, forsi e senza forsi, per alcune centenaia d'anni non erano stati tanti in tutta Roma, credo vi siano al presente, giaché per piú occorrenze dopo si sono spesi.

MALFATTO. Voglio andare in Campo de fiore. CURZIO. Con chi stai tu? MALFATTO. , ; vedete: volete forsi niente? CURZIO. Oh! Tu me respondi a proposito! MALFATTO. Orsú! Basta. Son vostro serviziale. CURZIO. Costui deve esser matto. E' non sará quello che dico io. Anzi, l'è pur esso. Olá! MALFATTO. Missere, che vòi? CURZIO. Fatti un po' qui, di grazia. Con chi stai tu? chi è el tuo patrone?

CECA. Tu non lo credi, neh vero? MALFATTO. Che vòi ch'io creda? CECA. Che te farò andare a pichiare altrove. MALFATTO. Oh! non sono stato io. CECA. E chi è stato? MALFATTO. Uno ch'è andato giú adesso. Ma, de grazia, chiamame un poco quello che mena, ché lo vole lo mastro. CECA. Tu vòi forsi Minio. MALFATTO. , cancaro li venga! CECA. Venga pur a te. Aspetta, ch'ora lo chiamo.

GUGLIELMO. Sto fresco: questa veramente è una gran cosa; a me par essere pur quel Guglielmo di prima. Io non son morto: vedo, parlo, mi muovo; o forsi quando mi sommersi, per la gran paura che ebbi quando mi vidi la morte cosí vicina, fossi divenuto un altro, e mi bisogna trovar un'altra persona per essere alcuno? VIGNAROLO. Non piú parole: o va' via o fa' meco questione!

CECA. Come che non lo sapete? RITA. Dirotelo. Io mi maritai, son giá parecchi anni, e il signore nostro lo mandò in non so che sua bisogna forsi un mese doppo ch'io el tolsi; e, d'allora in qua, mai piú non l'ho veduto e temo ch'il sia piú tosto morto che no. Questo è el premio, sorella, che si acquista in servire i signori.