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Aggiornato: 2 giugno 2025


Il tic tac dei piccoli passi della Castelguelfo, il fruscìo leggiero della sua veste lo facevano impallidire, e la sera, aspettava con ansia il momento in cui, abbandonando il picco della quercia e ritornando verso la villa, essa usava appoggiarsi al braccio di uno dei suoi amici.

Tre bambine povere vanno a scuola, in nero, un fiocco rosso sui capelli. Si fermano. Si raccontano. Una bambina dodicenne elegante in azzurro, bionda, precede a passi rapidi concisi di dovere tac tac tac la cameriera vecchia, rullante, sbrindellona, ciabatte. La bambina sbuffa: Auf! che tartaruga, la Maria! lo dirò a mamm

Giacomo non voleva esser lui a rompere il silenzio e, sempre più oscurandosi in faccia, batteva il tacco sulla pedana con un tic, tic, tac, convulso e minaccioso.

Ma io non so se lo trovarò svegliato. Pur credo che . Non può essere che di quanti sassi che gli ho tirati non gne nne abbi còlto qualcuno. I' vo' pichiare, insomma. Tic, tac. REPETITORE. Non so che me fare, se io interrogo a costui che cosa vole. RUFINO, Certo saranno adormiti. Tic, toc, tac. MALFATTO. Chi è abasso? RUFINO. Respondesti pur, quando non potesti fare altro.

REPETITORE. Aspettate, ch'io pichiarò di sorte che me farò intendere allo maestro. Toc, tac, tic. PRUDENZIO. Chi impulsa la porta? Olá! REPETITORE. Ego sum, sono io. PRUDENZIO. Sei forsi el nostro substituto del ludo litterario? REPETITORE. Domine, ita. RUFINO. De corpo a tutti doi! PRUDENZIO. Chi è colui ch'è in vostro consorzio? REPETITORE. L'è uno che vole...

Tic, tac, toc. CECA. L'è la festa del pichiare, questa. Tu non lo credi, eh? MALFATTO. E che hai paura? che spezzi l'uscio? la porta? CECA. Aspetta, aspetta el bastone. MALFATTO. Eh! non far. Odi, odi. Oh Ceca! CECA. Che vòi? MALFATTO. Eh! non fare, de grazia, ché lo mastro me cci ha mandato. CECA. Malan che Dio te dia, a te e a lui! MALFATTO. Ascolta un poco. Oh madonna quella!

Tic, tac. CURZIO. Ripichia, ripichia meglio. RUFINO. Che volete pichiare? Questo è un perder di tempo. Tic. CURZIO. Fatti conto ch'el deve dormire. RUFINO. Piú presto deve esser morto. CURZIO. Di questo ne sei cagione tu. RUFINO. E perché io? CURZIO. Perché, se tu lo gastigassi qualche volta, sarebbe piú avertito alle cose mie che non è. Ma non piú.

Così giungemmo al 17 gennaio dell'anno di Grazia milleottocentosettanta. Il cielo si era un po' rischiarato: ci destammo un poco più tardi del solito, poiché in dormiveglia ci sentivamo solleticare gli orecchi dal monotono tic tac dell'acqua che sgocciolava dai tetti, su cui si sfaceva la neve.

Uh! signor Bazzetta, continuava la vecchia, se provasse. Qui vede... mi fa sempre tac, tac, tac. Gi

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