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Una luce pallida di vespro nuvoloso pioveva dai vetri del finestrone; nella penombra gli stalli ergevano le braccia nere, tarlate e unte d'olio; in fondo, presso il campanile, una donna scopava il pavimento. Don Bonomo aperse un libro di preghiere e pensò.

Teneva le braccia incrociate dietro il capo e guardava il soffitto a cassettoni del suo magnifico salone, così austero nel suo addobbo e nel suo mobilio. Ella non fumava, non dormiva, non sonnecchiava, non sognava: stava, così. Erano le tre pomeridiane, pioveva e il cielo era basso, plumbeo e triste. Paolo Herz entrò.

Era entrata nella cappella, fredda in confronto dell'aria esterna, illuminata dalla luce rossastra che pioveva passando attraverso i vetri delle alte finestrette. Vi ora un odore morto di rinchiuso e di fiori appassiti. Lucia si inginocchiò. Ma in vece di pregare come soleva, quel giorno si ritrovò a monologare senza avvedersene.

Egli sedeva all'altro lato del tavolo con dei fogli di carta da musica davanti a . Il cerchio di luce della lampada gli pioveva pacatamente sul lucido capo chino. A Nancy parve ch'egli avesse l'aria tediata e triste. Che c'è, Aldo? gli chiese, stendendo verso di lui attraverso la tavola una mano affettuosa. Nella esuberante gioia dell'ispirazione, essa si sentiva molto tenera e pietosa.

Qualcosa di eterno pioveva su quel sacro anfiteatro di monti: la vera luce dell’ombra, la paurosa elevazione dell’anima verso il pensiero di Dio. Qualche mandria invisibile faceva risuonare i suoi campani per i boschi distanti e la folla sterminata pregava nella grande Esplanade; pregava con una specie d’immobile fervore, curva davanti alla Basilica, nel musicale silenzio del giorno che moriva.

Ahi!... L'acqua guasta tutto! Persino il vino buono! La bevanda fu insipida te ne chieggo perdono... Vuoi un'altra novella? La leggerai fra poco. Bada!.. Non riscaldarti!.. Ha per titolo: Fuoco! Milano, 1875. Era sera e pioveva.

Ci mettemmo a sedere sotto un finestrone onde una gran luce pioveva nella sala. Erano le 9 della mattina e lo spedale faceva la sua toeletta, pieno d'un gran chiacchierio che s'intrecciava fra i letti, arrivava con gl'inservienti, usciva dalla stanza delle suore, per l'uscio socchiuso. Una vecchia suora, inforcati gli occhiali, scriveva in un gran libro squadernatole innanti, sulla tavola.

Ed uscii in punta di piedi pensando a quella consolazione che mi restava, in mezzo a tanti guai. Quando mi accorsi che pioveva, non tornai neppure indietro a pigliare l'ombrello per non svegliare la mia figliola. Per che cosa svegliarla? per condurla a piangere laggiù alla stazione? C'è sempre tempo di piangere a questo mondo.

Il nome non mi era nuovo; mi sembrava averlo letto il giorno prima sulla fronte di una stazione solitaria fra colli e boschi, e fors'anche udito dai miei amici di Monaco. Uscii nella strada assai soddisfatto di questo primo raggio di luce. Pioveva ancora, nessuna finestra della casa Yves si era aperta. Pensai di ritornare all'albergo e di cercare Eichstätt nel mio Baedeker.

Ma perchè quegli urli, quei fischi, tutto quello schiamazzo?... A tentoni si avvicinò alla finestra, l'aprì.... Tutta la piazza era piena di gente tumultuante.... era piena di ombrelli.... pioveva a dirotto.... c'erano guardie e carabinieri!... A un tratto udì una voce forte, stentorea: "Morte al Casalbara! Morte ai ladri della Cisalpina!"