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Perchè prendo queste note su di me stesso? Se la parola traduce male il pensiero, come pretendere di adattarla all'espressione del sentimento? Se le mie parole fossero come i rintocchi di un mortorio, in una campagna spogliata e deserta, sotto un cielo plumbeo e opprimente come il coperchio di una bara, esprimerebbero esse l'agonia dell'anima? 18 ottobre.

Era una sera d'autunno; sulle cime e sul pendio orientale dell'Apennino fioccava la neve. Nel cielo non si scuopriva una nube, perchè opaco plumbeo e grigio dal riverbero delle argentate colline. Il soffio temuto della Bora¹ udivasi come un lamento della sventura tra le secolari piante della foresta.

Teneva le braccia incrociate dietro il capo e guardava il soffitto a cassettoni del suo magnifico salone, così austero nel suo addobbo e nel suo mobilio. Ella non fumava, non dormiva, non sonnecchiava, non sognava: stava, così. Erano le tre pomeridiane, pioveva e il cielo era basso, plumbeo e triste. Paolo Herz entrò.

Allora brillò una gran luce: ma non dal cielo uniforme di piombo scendeva quella luce; ma dalla immensa candidezza della terra, e fuori di quel candore, tutto era ugualmente plumbeo: le fiumane, le piccole case, disperse, livide, sepolte: un paesaggio immobile, desolato, bianco su cui avanzava, quasi immersa, la linea nera del convoglio.

Amava la solitudine; un cerchio plumbeo le si era venuto formando intorno agli occhi; dal tanto patire, le carni le si erano fatte scure; talvolta, si lagnava colla fantesca, d'avere le labbra arse, e nel cuore un caldo come d'acqua bollente; tal'altra rabbrividiva, e poi parlava di mostri che le era parso di vedere.

Degli sfaccendati non ne scorgevi, essi eran nascosti nel più recondito dei loro palazzi, ordinando l'ermetica chiusura delle imposte e assaporando sorbetti ghiacciati, chè ogni altro appetito era scomparso. Eran le 4 pomeridiane, e dall'Apennino si scorgeva innalzarsi quel tetro, plumbeo, intenso nembo, precursore infallibile della tempesta.

Un tumulto di memorie, di pensieri, di sentimenti mi sopraffece. La via Emilia immensa e vuota mi si allungava davanti: non un rumore passava nella sera, non una forma saliva dai campi. Il cielo plumbeo sembrava aver perduto persino il ricordo degli astri, sulla terra bruna erano cessati tutti i colori ed i moti della vita. Una inerzia crepuscolare copriva la natura arrestandone l'infinita instancabile variet

Era notte. S'era spento l'incendio del bosco, il cielo s'era chiuso, un velo plumbeo subitamente era sceso sulla Riviera Casilina e la nascondeva. Nell'ombra, alcune forme confuse passavano sullo spiazzo e si disperdevano. Allora ella mosse dal ponte verso il Corso Appio. Traversò lo spiazzo con celere passo, tutta raccolta nello scialle, affrettandosi.

Ora passava un carro funebre, di quelli che fanno continuamente la via di Foria e s'avviano al cimitero. Il de Laurenzi, curvo, con la mano alla falda del cappello, scivolò accanto all'enorme e nero carrozzone dalla cui cimasa dorata pareva che volessero spiccare il volo, ad ali spiegate, quattro polisarcici angioli di legno. La via, su quel transito, s'era fatta silenziosa, a un tratto. E a me parve che tanto da quel lento carro come da quell'uomo pur funebre si sprigionasse in quel punto una medesima espressione mortuaria il cui senso mi durò dentro per qualche secondo. Poi tutto si tolse dalla mia vista. Ma sopra di me e sull'animo mio, mentre m'avviavo alla porta del mio ufficio, pesava ancora, come l'ultimo segno di tanta malinconia, un cielo invernale plumbeo e greve. L'aria mi pareva satura d'una umidit

FILASTORGO. Menami dove è, ché vo' vederlo. V'è intercetto poter vederlo, perché sta chiuso in un carcere orcico. FILASTORGO. Che «carcere orcico»? PROTODIDASCALO. In poter della giustizia che sopra questo fatto ci viene pede plumbeo; e credo... FILASTORGO. Che cosa? PROTODIDASCALO.... che sará... FILASTORGO. Appresso. PROTODIDASCALO.... per esser il caso grave et exemplare;...