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Aggiornato: 6 giugno 2025


Marin Sanudo, Cod. Marciani, vol. Relazione di Persia, del clarissimo messer Teodoro Balbi console veneto nella Siria dall'anno 1578 al 1582. Serenissimo Principe,

¹ A travers l’Apulie et la Lucanie par F. Lenormant, Vol. I, pag. 271 e seg.

Questo illustrissimo signor, se vol, el far

CRIVELLO. Oimè! oimè! O seccareccio, altrettanto a me. SCATIZZA. Non ti diss'io che la baciarebbe? CRIVELLO. Or ben ti dico ch'io non vorrei aver guadagnato cento scudi e non aver veduto questo bacio. SCATIZZA. Il veggio. Cosí fusse tócco a me! CRIVELLO. Oh! Che fará il padrone, come egli 'l sappia? SCATIZZA. Oh diavol! Non si vòl dirglielo. ISABELLA. Perdonatemi.

È noto come il primo [I[grosso veneziano]I], a cui dassi comunemente il nome di [I[matapane]I] (nome ch'io vorrei escluso da ogni libro di numismatica perché adottato soltanto in epoca tardissima dai numografi ma non ricorrente mai in documenti sincroni in memorie di zecca) fosse coniato sotto la ducea di Enrico Dandolo nel 1202, e si chiamasse allora [I[ducato]I], nome che poi passò alla prima moneta d'oro battuta nel 1283 sotto Giovanni Dandolo, e si ragguagliasse a denari piccoli 26, o secondo il Carli a soli 24, o a 2 soldi. Maestro Martino da Canale, storico veneziano del secolo XII, la cui [I[Chronique des Veniciens]I] redatta in antico francese si pubblicò nel vol. VIII dell'Archivio Storico Italiano, è il primo autore che ricordi la origine di questa bella moneta. [I[Messire Henric Dandle, li noble Dus de Venise, mande venir li charpentiers, et fist erraument apariller et faire chalandres et nes et galies a plante; et fist erraument faire mehailles d'argent por donner as maistres la sodee]I] (soldo, salario) [I[et ce que il deservoient, que les petites que il avoient]I] (intendi i denari o piccoli) [I[ne lor venoient enci

Ecco, superbo ascende il fior de l'agave, Arde nel cielo splendido il mio sol; Ebbra di fuoco, ebbra di luce l'anima Spande l'ali e in tempesta agita il vol Se lunghe, amare furono le tenebre, Degna è quest'ora tutto di soffrir. . . . . . . . . . . . . . . No, cuore mio, sta tranquillo, non si cambiano; il tuo primo getto della gioia infinita, eterna, non si tocca più.

Disperata. Se alziai mia voce mai per trovar pace Hor alziola in battaglia, cruda e fera Che a morte a un tristo, più che vita, piace Se mai del bramai la luce vera Hor la rifiuto, & bramo obscura notte che a un infelice, convien vesta nera S'io sparsi dolci rime, ornate, e dotte hor le restringo, e le converto in tosco che ciò far de', chi ha sue speranze rotte S'io bramai terso dir, succinto, e tosco hor rigido inornato, & mesto, bramo, che un lieto ama il giardin, misero il bosco Se 'l star sol mi parea qual pesce in amo Hor parmi sciolto star, con altrui preso che un veduo Tortorin, vol secco ramo S'io fui d'amor cantando lieto acceso hor son mesto piangendo, fatto un giaccio che picciol forza, non sostien gran peso S'io bramai lieto star fuor d'ogni impaccio hor viver bramo mesto in mortai gridi che a lieti gioia, e a mesti, convien laccio Se allegro andai per monti, piani, & lidi hor tristo giaccio in una obscura cava Ch'a ognun che ha contra il ciel, convien tai nidi Se dolce in vista a ognuno i' mi mostrava hor paventoso, e crudo, i' vo' mostrarmi che altro far non quel che ha sorte prava S'io solea del buon stato mio, lodarmi hor son del tristo allegro, in cui mi trovo che pace chiama oliva, & guerra l'armi S'io vissi lieto a l'amoroso giovo hor lieto corro al fin qual celler pardo Che 'l pensar dil ben vecchio, e dolor novo S'io dissi dolcemente ahimè tutto ardo hor dico amaramente, fuss'io polve che è meglio un duol mortal breve, che tardo S'io dissi donna ahimè di me non duolve hor dico iubilate de mia pena che è mal stabil quel ben, che intorno volve S'io dissi donna mia passion raffrena hor dico accresci quella, ch'io mora. che è meglio morte che vita in catena S'io dissi trammi il stral dil petto fora hor dico che di quel facci un bersaglio che assai peggio è penar, che l'ultim'hora S'io mi diffesi di punta, e di taglio hor voglio stesso farmi offesa grave che haver requie non de', chi vol travaglio S'io dissi porto de mia stanca nave hor dico mar profundo la summerga che a' sfortunati, non lice, onde soave.

Il tuono al massimo del temporale rumoreggiava forte, ma prima e dopo vedevansi i lampi ed esso a noi non giungeva. «Compt. rendvol. 95 , pag. 919. «Compt. rendvol. 95 , pag. 1121. «Compt. rend1892, pag. 134. «Compt. rend1883, pag. 525. Om kosmiskt stoft, som med nederbörden faller till jordytan. «Ofversigt a Kongl. Vetenshaps-Academiens Förhandlingar» 1874, 1. Stockholm.

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