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Non era ancor di la` Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tosco: non han si` aspri sterpi ne' si` folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti.

O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtu`, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno, con voi nasceva e s'ascondeva vosco quelli ch'e` padre d'ogne mortal vita, quand'io senti' di prima l'aere tosco; e poi, quando mi fu grazia largita d'entrar ne l'alta rota che vi gira, la vostra region mi fu sortita.

Non era ancor di la` Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tosco: non han si` aspri sterpi ne' si` folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti.

Che cosa è, in questa vita, aver le stelle contrarie e 'l cielo! ché, se pur ci viene nulla di quel che ne faria felici, subito in mortal tòsco lo converte quest'empia che dichiam Sorte o Fortuna. Quanto fòra il tuo meglio, se giá mai non avessi gustato il dolce cibo che tosto è poi vòlto in amara esca!

«O Marco mio», diss’ io, «bene argomenti; e or discerno perché dal retaggio li figli di Levì furono essenti. Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di’ ch’è rimaso de la gente spenta, in rimprovèro del secol selvaggio?». «O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta», rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, par che del buon Gherardo nulla senta.

Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco mi rimiraron sanza far parola; poi si volsero in se', e dicean seco: <<Costui par vivo a l'atto de la gola; e s'e' son morti, per qual privilegio vanno scoperti de la grave stola?>>. Poi disser me: <<O Tosco, ch'al collegio de l'ipocriti tristi se' venuto, dir chi tu se' non avere in dispregio>>.

La giovane era commossa ai cari accenti da lei sola intesi, e tremava vedendo torvo ruotarsi qual tempestosa nube lo sguardo del padre che impaziente spirando tosco dalle enfiate labbia proruppe Folle, a che vaneggi tu, a che muovi mistici detti? Ben io apprenderotti quale tu sia, e che sorte ti attenda. Qui vuolsi sangue, e tu il verserai. Però cessa dallo spargere ombra di lode a mia figlia: sarebbe in lei segno dell'odio mio la lode di un Nebiolo. Fra pochi o tuo padre sar

e vidi spirti per la fiamma andando; per ch’io guardava a loro e a’ miei passi compartendo la vista a quando a quando. Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi, gridavano alto: ‘Virum non cognosco’; indi ricominciavan l’inno bassi. Finitolo, anco gridavano: «Al bosco si tenne Diana, ed Elice caccionne che di Venere avea sentito il tòsco».

E via più che giammai con la man forte Egli il contorce, e con più studio il tende; Seco è Megera, e da le chiome attorte Una disvelle de le serpi orrende, E perchè deggia far piaga di morte Molto di tosco in su la punta spende Del ferro, e ferma ne l'arciero il guardo, Menando smanie, ch'a scoccar sia tardo.

«O Marco mio», diss’ io, «bene argomenti; e or discerno perché dal retaggio li figli di Levì furono essenti. Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di’ ch’è rimaso de la gente spenta, in rimprovèro del secol selvaggio?». «O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta», rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, par che del buon Gherardo nulla senta.