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Aggiornato: 1 maggio 2025


GRAMIGNA. Ti fa buttare da un luogo eminente senza pericolo di romperti le gambe. CRICCA. Il boia lo sa fare meglio di lui: gli butta dalla forca senza pericolo delle gambe. PANDOLFO. Bastano questi. Muoio se non lo vedo: Cricca, batti la porta. CRICCA. Batto. Tic toc. ALBUMAZAR. Chi diavolo batte? CRICCA. Te ne porti in carne e in ossa!

Giacomo non voleva esser lui a rompere il silenzio e, sempre più oscurandosi in faccia, batteva il tacco sulla pedana con un tic, tic, tac, convulso e minaccioso.

MALFATTO. Misser no. Non ce è altri qua che lui, esso e io. RUFINO. Con chi l'hai? a chi respondi? MALFATTO. Orsú! Bona sera. RUFINO. Malanno che Idio te dia! Tic, tac. MALFATTO. Che vòi? che hai? RUFINO. Ècci el tuo patrone in casa? MALFATTO. Che patrone? che patrone? Io non ho se non un compagno che sta qua dentro che se chiama lo mastro. RUFINO. Va'; e digli che venga un poco abasso.

GUGLIELMO. Sian benedetti i cieli che mi vi tolsero dinanzi, ché mi avevano stracco con non so che vignarolo o che argento! Tic toc. ARTEMISIA. Chi batte, olá? GUGLIELMO. O Artemisia, figlia cara, aprimi, che sii tu benedetta! ARTEMISIA. «Figlia cara», dice il furfante: ah, ah, ah! GUGLIELMO. Non conosci il tuo padre Guglielmo? ARTEMISIA. Chi Guglielmo? GUGLIELMO. Chi Guglielmo? tuo padre.

Tic, tac, toc. CECA. L'è la festa del pichiare, questa. Tu non lo credi, eh? MALFATTO. E che hai paura? che spezzi l'uscio? la porta? CECA. Aspetta, aspetta el bastone. MALFATTO. Eh! non far. Odi, odi. Oh Ceca! CECA. Che vòi? MALFATTO. Eh! non fare, de grazia, ché lo mastro me cci ha mandato. CECA. Malan che Dio te dia, a te e a lui! MALFATTO. Ascolta un poco. Oh madonna quella!

Dunque, proprio bene? sentiamo un .... Cresti le prese il polso, trasse l'orologio d'oro e misurò le pulsazioni sul tic tic dei minuti secondi Polsetto un debole ancora, ma regolare: segno che il cuore è in ordine. Domani potrò uscire in giardino. Ma sieda, Cresti. Ho premura si scusò egli son venuto soltanto per far la mia visita medica e anche per chiedere un consiglio. A me?

PASQUELLA. «Che fa lo mio amor ch'egli non viene? L'amor d'un'altra donna me lo tiene». Meschina a me! GIGLIO. E que! Non faze, donna Pasquella, que á qui sta sperando que gli apriate. PASQUELLA. «Non ti posso servir, signor mio caro». Oimè! GIGLIO. Aze musiga esta male avventurada. Ya non se accuerda que á qui sto. Daré colpo in esta puerta, voto á Dios. Tic, tac, tic, toc. PASQUELLA. Chi è ?

Passai per la stanza dove la sera innanzi avevo ricevuto dalla bocca di mia madre la rivelazione improvvisa. Riudii l'orologio a pendolo che aveva segnata l'ora; e, non so perché, quel tic tac sempre eguale aumentò la mia ambascia. Non so perché, mi parve di sentir rispondere alla mia l'ambascia di Giuliana, a traverso lo spazio che ancora ci divideva, con un'accelerazione di palpiti concorde. Camminai diretto, senza più soffermarmi, senza evitare lo strepito dei passi. Non picchiai all'uscio ma d'un tratto l'apersi; entrai. Giuliana era l

LIMOFORO. Ascoltiamo che dice la bocca della veritá. PSEUDONIMO. Chiamiamo la balia; ella chiarirá chi sia il vero Limoforo di noi duo. LIMOFORO. Che si chiami. PSEUDONIMO. Tic, toc, tic. Cala qua giú, Lima. LIMA. Che commandate, signor Limoforo mio padrone? PSEUDONIMO. Che dichi chi di noi sia veramente Limoforo. LIMA. Che dimande son queste? voi sète Limoforo, il mio antico padrone.

MASTICA. È dunque questa la casa tua? TEODOSIO. Dimmi prima se questa è la casa di Sennia. MASTICA. Questa è la casa di Sennia: è per questo la tua? TEODOSIO. Io son Teodosio suo marito che sono stato venti anni in man di turchi, e or scampato la Dio mercé dalle lor mani me ne ritorno a casa mia. TEODOSIO. O di casa! Tic, toc.

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