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Qui abbiamo bisogno di risolutezza, forza e coraggio per uscire da questa pericolosa situazione. Orsù, fatti animo, tutto ancora non è perduto. Che si deve fare? Se colla mia vita potessi salvarvi, potessi conservarvi viva al mio padrone, sarei pronto a perderla, ma pur troppo non giover

Non fare rumore, sopratutto e non perdere di vista i ribelli. E i coccodrilli? Non ne vedo attorno al banco, eppoi ho la scimitarra. Il primo che vedo uscire dall'acqua e avvicinarsi a me gli rompo la testa. Orsù, affrettiamoci prima che l'oscurit

Io non vo' andar incontro alla fortuna, restar cosí vinto alla prima battaglia lasciar cosa intentata fin alla morte. PANIMBOLO. Orsú, facciasi tutto il possibile, ch'avendo a morire, quando s'è fatto quanto umanamente può farsi, si muor piú contento. Andiamo in Palazzo, informiamoci del fatto. Leccardo, trattienti da qua intorno, ch'avendo bisogno di te non abbiamo a cercarti. Va' e vieni.

PELAMATTI. Se ho fatto errore, non mi manca la testa rotta. Orsú, ti lascio,... MORFEO. Che cosa? PELAMATTI.... perché mi vo' partire. MORFEO. Mi pensavo che mi volessi lasciar qualche cosa: lascio io te. PELAMATTI. Non ho che lasciarvi se non miserie e povertá. PANURGO. Non le voglio, portale teco. PELAMATTI. Voleva dir: ti lascio con bona ventura che ti aiuti.

SINESIO. Due parole e non piú. PEDOFILO. Non ho orecchie per ascoltarne una sola. SINESIO. Pregovi che mi doniate udienza. PEDOFILO. Ed io vi prego che non mi tratteniate. SINESIO. Userò con voi le piú brevi parole che potrò. PEDOFILO. Orsú eccomi, con patto che la spediate tosto.

Non gli riesciva.... l'idea della sua ambizione lo atterriva.... No, no.... era impossibile.... era impossibile.... era troppo. Il padre, cogli sguardi, col gesto, gli faceva animo; ma egli non guardava suo padre e respirava a stento. Orsù, disse il Principe impazientito hai capito di parlare? vuoi farmi star qui tutta la mattina?

ALBUMAZZAR. Ma avertite che, doppo fatta l'opra, vo' la catena d'oro promessame per elemosina delle mie fatiche. PANDOLFO. Le cose son troppo care. ALBUMAZZAR. Tanto le dolcezze d'amore saranno piú care, perché costono; amore e avarizia stanno bene insieme. PANDOLFO. Orsú! prometto, doppo che avete trasformato il servo, donarvi quanto vi ho promesso.

PANFAGO. Cosí sopportassi la fame! FORCA. Come le bastonate? PANFAGO. Cosí cosí. FORCA. Batteresti tuo padre? PANFAGO. Mia madre ancora, e s'altro se può dir peggio. FORCA. Come sei amico della veritá? PANFAGO. Come il can delle sassate. FORCA. Orsú, hai dato al segno del mio vóto: sei mille volte peggio di quel che vogliamo. PANFAGO. Adesso vo' essaminar io te: che cosa ho da fare?

CARIZIA. Orsú accetto e gradisco il vostro dono e me lo pongo in dito; e non potendo donarvi dono condegno ché nol consente la mia povertá, vi dono me stessa, ché chi dona se stessa non ha magior cosa da donare; e questo anello come cosa mia ve lo ridono in caro pegno della mia fede.

CRICCA. Non offendete la vostra buona fortuna con queste maledizioni, ma concorrete meco in allegrezza, ché col soffio della buona nuova sparirá da voi la cattiva fortuna. PANDOLFO. Lo farò se averò tanto potere. Dimmi, che allegrezza è questa? CRICCA. La maggior desiderata da voi. PANDOLFO. Orsú, raccontami tanta allegrezza: forsi si sono mutati di parere e me la vogliono restituire?