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Però se sarai d'accordo meco e secondarai il mio desiderio, buon per te; ché se mi accorgo che mi fai delle tue, guai a te. CRICCA. Eccomi cosí manigoldo come voi dite, per ubidirvi e pormi ad ogni rischio per amor vostro. PANDOLFO. Ma perché dubito che cosí sia in mio favore come tu diventar uomo da bene, vo' che mi giuri prima. CRICCA. Giuro a....

CRICCA. Artemisia? proprio erba per i vostri denti! PANDOLFO. «A cavallo vecchio erba tenerella». CRICCA. Ben che lo confessiate che sète cavallo. Che volete donque? che vi sia ruffiano? PANDOLFO. So che a te non si potrebbe fare piú gran piacere che essere richiesto di ruffianeria; ma io ti vo' per aiutante. CRICCA. Dite su.

LELIO. Non saria meglio prenderlo e tenerlo in buona custodia; e come è tornato nella sua forma, porlo in mano della giustizia e farlo castigare? CRICCA. No, ché il padrone stimarebbe che l'aviso fosse uscito da me, ed io ne portarei la penitenza che giá questa mattina me l'ha promessa. Non tanti consigli: avisate quei di casa che, volendo Guglielmo entrare in casa, lo scaccino quanto prima.

CRICCA. Donque sei il vignarolo: ché se tu fussi Guglielmo, l'avria sentito Guglielmo e no il vignarolo. VIGNAROLO. Anzi, però l'ho sentito io perché son Guglielmo; se fusse il vignarolo, l'avria sentito il vignarolo e non Guglielmo. CRICCA. Io ho dato al vignarolo e non a Guglielmo. Ma dimmi, chi è innamorato di Armellina, il vignarolo o Guglielmo? VIGNAROLO. Il vignarolo.

ALBUMAZAR. Ho visto mille appicati in vita mia, ma non ho veduto la piú maladetta e scommunicata fisonomia e ciera della tua; e se tu fossi un poco piú alto da terra, direi che sei stato appicato giá. Ma se ben mi ricordo, vidi l'altro giorno uno che s'andava scopando per la cittá: o tu sei esso o egli te. CRICCA. S'ho cattiva cera di fuori, dentro ho buono miele.

CRICCA. Come no? se ti tagli un dito si sente cosí gran dolore, che sará quando si disfará il tutto? Il padrone, con grandissime promesse che mi ha fatte, non ci ha potuto coglier me: ci ha colto te che sei una bestia. VIGNAROLO. Me ne vien molto commodo.

Or va' a casa di Guglielmo a far l'effetto che devi, ché ti fa certo che sarai ricevuto per l'istesso Guglielmo. GUGLIELMO. E se nella mia casa non sarò ricevuto per l'istesso Guglielmo, dove spero esser piú ricevuto? CRICCA. Mi par che tu non lo vuoi intendere: tu sei il vignarolo, ed io lo so meglio che tu stesso non lo sai. GUGLIELMO. Io non so quello che ti dica del vignarolo.

PANDOLFO. Io non so perché tanto gridi, o Cricca. CRICCA. Non vedete il vostro vignarolo trasformato in Guglielmo, e tanto trasformato in Guglielmo che il vero resta vinto dal falso, perché il falso è piú vero del vero? Veggio il simulacro e l'imagine di Guglielmo cosí naturale che, se fosse fatto a stampa o dentro le forme, non potrebbe essere piú simile.

PANDOLFO. Cricca, io vo' farti consapevole di uno mio secreto: e se le tue manigolderie, che hai usato contro di me fin ora, l'usarai in darmi sodisfazione, ti impadronirai del tuo padrone e mi conoscerai piú amorevole che mai; ché mai piú per l'adietro mi è accaduta una simile occasione. CRICCA. A che bisognan tanti proemi? pare come che ora m'aveste a conoscere.

PANDOLFO. Tu non sai di che giurare, e dici: Giuro a. CRICCA. Giuro tutto quello che volete e non volete. PANDOLFO. Poiché sei cosí frettoloso al giurare, sarai piú volontaroso a non osservare. CRICCA. Se ben dovrei pregarvi che non vi fidiate di me, pur per il desiderio che ho di servirvi vi prego che ve ne fidiate.