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VIGNAROLO. Il vostro perdono non lo voglio, perché non lo merito. PANDOLFO. Perdonami a me, ché lo merito io. Ma dove sono gli argenti e i drappi che ti ha consegnato l'astrologo? VIGNAROLO. Che argenti, che drappi? PANDOLFO. Or questo sarebbe un altro diavolo! VIGNAROLO. Quando disse che voleva trasformarmi, mi bendò gli occhi; e quando mi tolse la benda, trovai la camera sgombrata.

LELIO. Colui, che ha trasformato il vignarolo in Guglielmo, ha trasformata la persona del vignarolo con quella ferita istessa che avea Guglielmo; ché altrimenti non saria trasformato. GUGLIELMO. Figlio, non so che altra certezza possa darti che sia tuo padre.

ARMELLINA. Eccoti la fede. VIGNAROLO. Io son il vignarolo. ARMELLINA. Voi volete burlarmi; sète Guglielmo. VIGNAROLO. Se non sono il vignarolo, mi possino mangiare lupi e sia trovato in mezzo al bosco a suon di mosconi! Ma tu ridi? ARMELLINA. Rido del desiderio che ho di vederlo. VIGNAROLO. Ti dico che, vedendo me, tu vedi lui.

Or va' a casa di Guglielmo a far l'effetto che devi, ché ti fa certo che sarai ricevuto per l'istesso Guglielmo. GUGLIELMO. E se nella mia casa non sarò ricevuto per l'istesso Guglielmo, dove spero esser piú ricevuto? CRICCA. Mi par che tu non lo vuoi intendere: tu sei il vignarolo, ed io lo so meglio che tu stesso non lo sai. GUGLIELMO. Io non so quello che ti dica del vignarolo.

Quanto tempo è che sète giunto in Napoli? VIGNAROLO. Voi siate il ben trovato! Or giungo dal viaggio. RONCA. Vi avemo giá pianto per morto. VIGNAROLO. Son salvo e al vostro comando. RONCA. Si ricorda Vostra Signoria, quando mi prestaste dieci ducati, che i birri mi menavano in prigione? VIGNAROLO. Signor , signor , me ne ricordo.

ARMELLINA. Rispondi tu prima a me: se dici che son la tua imperadora, ti posso comandare. VIGNAROLO. Porto il presente, mezzo al patrone e mezzo a te; e se ti piace tutto, piglialo tutto. ARMELLINA. Mi raccomando. VIGNAROLO. Fermati un poco, ché son venuto a posta dalla villa per vederti... ARMELLINA. E non m'hai veduta? VIGNAROLO. ... e parlarti ancora. ARMELLINA. E non m'hai parlato?

VIGNAROLO. E quella somiglianza ed io non siamo tutti una cosa? PANDOLFO. No, ché tu mai sarai Guglielmo Guglielmo te; ma restará ingannato chi si crede che tu sia Guglielmo. VIGNAROLO. Io pensava che bisognasse disfarmi e risolvere la carne e l'ossa, e poi impastarmi di nuovo e buttarmi a cola dentro le forme di Guglielmo per transformarmi in lui. PANDOLFO. Non tante cose, no.

Or prima che mi accada qualche altra disaventura, me ne vo' andar a casa di Guglielmo; e subito entrato, farò che Armellina sia promessa per moglie al vignarolo e fare gli instrumenti, accioché, quando lascio di esser Guglielmo, me la toglia per moglie.

VIGNAROLO. Lasciami parlare. ARMELLINA. E che fai? VIGNAROLO. Ragiono pur, ma vorrei.... ARMELLINA. Che vorresti? VIGNAROLO. , sai che vorrei? che mi volessi bene. ARMELLINA. Io per me non ti vo' male. VIGNAROLO. So ben che non mi vuoi male: pur non mi vuoi bene. ARMELLINA. Che vorresti dunque che facessi? VIGNAROLO. Tôrmi per marito. ARMELLINA. Son poverella, non ho dote da darti.

VIGNAROLO. Una persona che muor per te: è della simiglianza vostra, di altezza e di fattezze come io, molto simile a me. ARMELLINA. Sará dunque vecchio come voi. Dio me ne guardi! non vuo' vecchio; se io mi accaso, lo fa per far figli come le altre. VIGNAROLO. Non dico che sia vecchio come me, ma della mia statura, e molto simile fuorché nella vecchiezza.