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Vorrei che mi facessi piacere pari alla cortesia, e questo servigio sarebbe il condimento di tutti gli altri. LECCARDO. L'impresa che mi proponi è di farmi essere appiccato. DON FLAMINIO. Fai gran danno non aiutandomi. LECCARDO. Maggior danno fo a me aiutandovi. DON FLAMINIO. Leccardo, to', prendi questi danari. LECCARDO. Ho steso la mano. DON FLAMINIO. Togli questo argento.

Era pur necessario che vi facessi una improvvisata perchè a vedermi sempre in un dato posto e in un dato luogo devo venirvi in uggia. Le donne amano la variet

Tu gli hai detto che ogni cosa doveva essere finita e che non varcasse più la soglia della nostra casa. Egli ha obbedito; non lo rimproverare; è stato lontano da me, pensando che io pure non lo volessi, temendo che io gli facessi colpa e gli facevo colpa! di avere svelato il luogo ov'ero rifugiata.... Non lo rimproverare; egli ti ha obbedita.

Leonardo stette un po' sopra pensiero, poi, vergognoso di parere inquieto, strinse la mano all'amico dottore e disse ridendo: Grazie, grazie, grazie. Il dottore, che stava per cedere ad un nuovo rilassamento delle fibre, vinse lo scrupolo, respirò libero e sentenziò dentro di : Se facessi diversamente, sarei un imbecille. In cui si fa una rivelazione e si mostra un disegno.

BALIA. Alla chiesa: ché mentre Lidia sta ascoltando la messa, m'ha imposto che le facessi un servigio qui presso; e torno ora a lei. AMASIO. Aspetta un poco, di grazia, ch'io cali giú, ché mi facci compagnia alla medesima chiesa per ragionar un poco con Lidia e per ascoltar ancor io la messa. AMASIO. Balia, se t'indovino il servigio che Lidia t'ha inviato a fare, m'accetterai tu la veritá?

CRISAULO. E perché questo? ARTEMONA. Perché bisogneria che tu facessi conto sol di fuggire o co' parenti venir forte a le mani. CRISAULO. Io non ho cura d'altri che di me stesso, in questi casi. Pur, perché vada ben, piglia tu il modo: ch'io son per ubbidirti. ARTEMONA. Vederemo quel che si potrá far. Forse domane io le riparlerò.

Ohibò! ohibò! tornò a dire il cappellano: e poi... scommetterei ch'è male informato, anzi.... son certo che falla. E se facessi il nome alla persona?... Il nome?... Io non ne so niente. Oh bella! chi dice che debba saperne qualcosa lei? Io non c'entro, dico.

LIMERNO. Innamórati, raccendati, affócati, impazzisceti di qualche bella donna! MERLINO. Con diavolo impazzirmi? dòlti forse d'essere solo pazzo che me in compagnia cerchi di aver ancora? Ben doppia saria cotesta mattezza, che io omai vecchio ribambito mi cacciassi in cotal impresa. E quando pur io lo facessi, qual fama onorevole, come hai tu detto, ne conseguisco poi?

E voi che n'avete fatto? Che vuoi che ne facessi? lo allattai del mio petto, diventò grandicello, e buono come il pane, ma vivo come un pesce e ardito come un capriuolo, e stette al nostro mestiere, fin quando un signore, che aveva il nome di quelli che comandano a Milano, il menò con , ed ora è il signor Alpinolo.

E quand’anche il facessi, i passi snelli non fermeresti tu sulla tua strada, tu, che infili cristalli di rugiada per farne serto ai morbidi capelli. No!... Vivi l’ora tua, che una sol volta si vive!... Piangerai dopo. È il tributo sacro. Ma da timor gelido e muto l’ora divina a te non venga tolta.