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ALBUMAZAR. Bene dixisti, ché il sapientissimo Tolomeo egiziano disse: »Sapiens dominabitur astris». Gramigna, calami giú quel cappello e talari di Mercurio, fatti sotto ponto di Mercurio ascendente nel suo segno. PANDOLFO. Io non mi partirò tutto oggi da' vostri piedi.

RONCA. Attendete a far bene voi la parte vostra, ché da noi vedrai effetti che avanzaranno la tua stima. ALBUMAZAR. Eccolo che viene. Arpione, discostati, ascolta ciò che dice e riferiscimelo; Gramigna, trattienti su la porta e vedi narrargli qualche miracolo de' miei, perché io me ne entro. PANDOLFO vecchio, CRICCA servo, GRAMIGNA.

GRAMIGNA. Se ben tutto il popolo fosse birri, bargelli, manigoldi, e tutta la cittá prigioni, galee, berline e forche, lo faremo star a segno; e doppo la nostra partita vi resterá un seminario de' pari nostri. ALBUMAZAR. Non aspettava altra risposta da' vostri animi generosi, ché giá vi veggo scolpiti nelle fronti i trofei e trionfi; restarò defraudato delle gran speranze di voi.

ARPIONE. Ed io ne sono stato governatore tre volte della Galilea, e con uno scettro di quaranta palmi in mano ho administrato giustizia a quei popoli. GRAMIGNA. io manco di voi: sarei fatto re della Piccardia, ché giocando desiderava danari e mi vennero tre bastoni, ma Rubasco, nostro compagno, per mostrarsi uomo piú valente di me, volse prevenirmi e me li tolse di mano.

PANDOLFO. L'astrologo. CRICCA. E che, gli astrologhi sono Orlandi? CRICCA. Or andiamo dove volete. PANDOLFO. Ecco la casa: dimanda costui. CRICCA. Costui mi pare da Fuligno. PANDOLFO. Che vuol dir «fuligno»? CRICCA. «Degno di una fune e d'un legno»! GRAMIGNA. Che dimandate voi? PANDOLFO. Sète di casa? GRAMIGNA. Son servo dell'astrologo divino.

Doveva scongiurare ora e aspettava li diavoli, perché dimanda: Chi diavolo batte? È Farfarello. GRAMIGNA. Avete battuto troppo gagliardo, perché li astrologhi sono lunatichi. PANDOLFO. Perché «lunatichi»? GRAMIGNA. Sempre contemplano e parlano con la luna. ALBUMAZAR. Non sono calato piú presto perché stava parlando con una intelligenza mercuriale.

Amen dunque di', o somiero, Amen canta un giorno intiero; E satollo di gramigna, Mangia, peta, ragghia e grigna; Chè alla chiesa tutto ha dato Il tuo santo apostolato. Hez va! canta hez va! hez va! Chè il tuo canto al cuor mi va: Delle orecchie, di pigrizia, Niun ti avanza di malizia; Hez va! canta, hez va! hez va! Chè il tuo canto al cuor mi va. In questo mentre si ritorna alla chiesa.

Sovr’un poggio dirupato e per la più parte di macigno, che oggi a grandi filoni vedresti coperto di musco, d’edera e di gramigna e intersecato d’una folta querceta, sedeva un tempo il castello del Vergiolesi. Un duplice filare di cipressi gli apriva l’adito dal fianco di ponente: una forte e prolungata muraglia lo assicurava da mezzodì posando a scaglioni fin giù nel burrone.

Quel che rimase, come da gramigna vivace terra, da la piuma, offerta forse con intenzion sana e benigna, si ricoperse, e funne ricoperta e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto che più tiene un sospir la bocca aperta. Trasformato così ’l dificio santo mise fuor teste per le parti sue, tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.

Quel che rimase, come da gramigna vivace terra, da la piuma, offerta forse con intenzion sana e benigna, si ricoperse, e funne ricoperta e l'una e l'altra rota e 'l temo, in tanto che piu` tiene un sospir la bocca aperta. Trasformato cosi` 'l dificio santo mise fuor teste per le parti sue, tre sovra 'l temo e una in ciascun canto.