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Aggiornato: 4 maggio 2025


No, urlava il malato vomitando nera schiuma dalla bocca, no, non posso morire; il mio oro, i miei brillanti, le mie cambiali! Pax tibi. Ma il malato, sollevandosi in furioso modo sul letto, aveva afferrato la stola e, postasela in bocca, l'aveva messa in pezzi e tinta di sangue.

Tibi soli peccavi.... Sai niente tu chi fosse questo sor Menichetti? m'hanno detto che faceva il droghiere a San Carlo a' Catinari.... et malum coram.... Te feci. Pare fosse un galantuomo, proprio una brava persona e che abbia messo da parte un po' di quattrini.

Cum fueris in ditionem Caramani illum visita nostro nomine, sub literis nostris credentialibus, et suade atque orteris ad faciendum contra Turcum, et pete ut ad tuum securum transitum prestare tibi placeat omnes favores et omnem possibilem commoditatem.

ed è stampato nella parte quarta della raccolta del Gobbi, e nel tomo VII delle Rime degli Arcadi, come quello che era appunto nel numero degli Arcadi col nome di Armiro Cretreo. Undici furono le Oselle da questo Doge a' nobili regalate, delle quali le prime sei conservano lo stesso tipo tanto nel diritto, che nel rovescio. Nei diritti evvi l'antica impronta di san Marco, che .offre al Doge ginocchioni il patrio vessillo benedicendolo, col motto [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANVS. D.]SC], e sotto 1741 ed [SC[F. P.]SC], Francesco Pasqualigo il massaro, e seguenti. I rovesci altresì sono quelli stessi che si videro da molti Dogi suoi antecessori adoperati, e che poscia furono da tutti universalmente usati, cioè le parole: [SC[PETRI. GRIMANI. PRINCIPIS. MVNVS. ANNO. I.]SC] ([I[lin]I]. 3, [I[lett]I]. a). Nel settimo anno però il conio del diritto cangiossi, ponendosi in opera il simbolo del santo Evangelista, cioè il leone alato e coperto del berretto ducale, di fronte, e col libro fra le zampe aperto, su cui sta scritto [SC[P. T. M. E.]SC] cioè [I[Pax tibi Marce Evangelista]I], e nel contorno [SC[SANCTVS. MARCVS. VENETVS.]SC], e sotto il nome del massaro, che in quell'anno figurava Zuan Andrea Pasqualigo [SC[Z. A. P.]SC] ([I[lett]I]. b). Questa variazione non puossi ad alcun particolare avvenimento attribuire, ma solo ad un genio dimostrato dal Doge di imitare in questa parte il suo antecessore, non essendovi nelle pubbliche storie, o nelle private memorie alcuna di esse che a ragione di ciò addurre si possa. Non è però così della variazione che si osserva nel diritto dell'ottavo anno di questo Doge, nel quale invece del consueto tipo del santo Evangelista, che il pubblico stendardo consegna, vedesi il Doge ginocchioni in atto di orare innanzi al Santo, il quale seduto, tenendo la penna sull'aperto libro in atto di scrivere, si rivolge col capo indietro, quasi chiamato da un oggetto esteriore, ed ha il leone presso di col solito motto [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANVS. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[L. M. II.]SC] Lodovico Morosini II, questo pure in altre variando ([I[lett]I]. c). Di questa variazione puossi il motivo attribuire ad alcune vertenze insorte col pontefice Benedetto XIV. Il patriarcato di Aquileia, che con la sua giurisdizione estendevasi nella contea di Gorizia appartenente alla casa d'Austria, svegliato aveva le cure e l'attenzione di S. M. I. e R. Maria Teresa, la quale un proprio Vicario al Pontefice richiedeva per i suoi stati. Il Senato Veneziano, per sostenere i diritti patriarcali, incaricava presso la santa Sede con apposita missione Francesco Foscari, il quale partì di Venezia nell'agosto del 1748. Evvi l'antica tradizione, avvalorata anche da' Padri, che san Marco predicato abbia ai popoli di Aquileia il vangelo, quindi sembra bene adatta la idea che si rappresenti il Doge a' piedi del Santo in atto di supplicarlo a sostenere il diritto dei successori di lui nel Patriarcato stesso, diritto che allora cogli Imperiali dividere volevasi. Le vertenze e le discussioni di Roma continuando, ancora bene stabiliti i confini de' rispettivi diritti delle due metropolitane arcivescovili diocesi di Gorizia e di Udine, che dalla divisione della Patriarcale Basilica di Aquileia sorgere dovevano, nell'anno nono del suo reggimento il Doge ordinava, che nel diritto di quella Osella il santo Evangelista coniato fosse in atto di allontanarsi dalla terra e fra le nubi soffermarsi, con la sinistra mano distesa sulla testa del Doge a' suoi piedi genuflesso, di sua protezione assicurandolo, mentre tiene nella destra il libro degli Evangeli aperto, ed il Leone mezzo accosciato mostrasi in atto di minacciare alcuno dietro alle sue spalle. La inscrizione non varia dalle altre: [SC[S. M. V. PETRVS. GRIMANVS. DVX.]SC], e nell'esergo [SC[G. G. L.]SC] da interpretarsi per Gian Girolamo Longo, che era il massaro all'argento. Si riporta pure in questa quinta tavola a comodo degli osservatori la leggenda del rovescio, ch' è la consueta [SC[PETRI. GRIMANI. PRINCIPIS. MVNYS. AN. IX.]SC], 1749, inchiusa fra due rami di fiori che la corona ducale sorreggono ([I[lett]I]. d). Non ancora del tutto composta la questione sulla giurisdizione delle nuove sedi arcivescovili dal Patriarcato di Aquileia provenienti, il Doge credette opportuno di continuare a prendere lo stesso argomento per soggetto della sua decima Osella: quindi nel rovescio di essa si fece rappresentare ginocchioni illuminato dai raggi superiori, che dal cielo sul di lui capo discendono, in faccia ad un altare, dietro il quale evvi il Santo che sull'ara il libro de' suoi Evangeli aperto gli mostra, indicando con la destra mano la volont

Allora Federigo, che giá era a Chioggia, entrò in Venezia; e secondo le tradizioni si prostrò a' piedi di Alessandro, e questi glieli pose sul capo dicendo il testo «super aspidem et basiliscum»; e l'imperatore rialzandosi rispose: «Non tibi sed Petro»; e il papa riprese: «Et mihi et Petro»; fiabe forse, ma che accennano i costumi e le opinioni del tempo. Ad ogni modo furono pacificati.

si partì la gemma dal suo nastro, ma per la lista radïal trascorse, che parve foco dietro ad alabastro. pïa l’ombra d’Anchise si porse, se fede merta nostra maggior musa, quando in Eliso del figlio s’accorse. «O sanguis meus, o superinfusa gratïa Deï, sicut tibi cui bis unquam celi ianüa reclusa?».

Il Senato di Caltagirone, reo non sai se di crimenlese o di una frivolezza, fu fatto venire innanzi al Vicerè a dar conto del non dato titolo: ed il più giovane dei Senatori, D. Giuseppe Aprile, senza neppure salutare i suoi, corse a Palermo, e dopo un forte rimprovero del Caramanico, dovette andare da S. Eccellenza il Ferri a dargli soddisfazione del mancato riguardo¹⁹⁷. Ma il nobile giovane fremendo dentro di per la immeritata ammenda, deve fra i denti aver mormorato: Paglietta d’un giudice!... non tibi, sed Petro!

Il degno uomo aveva risaputa la grande notizia, ed accorreva, per salutare il conte Gino. Le esprimerò l'animo mio con un detto di Cicerone; diss'egli. Tibi gratulor, mihi doleo. E non solamente mi dolgo con me, ma con una gentile signora, che abbiamo avuto occasione di riverire insieme. Povera Ninfa del lago, a cui Ella aveva promesso una ballata!

Non esso medesimo incontro a Paolo, abbattuto dalla sua potenza in terra, usò il verso di Terenzio, cioè: «Durum est tibi contra stimulum calcitrare»? Ma sia di lungi da me che io creda Cristo queste parole, quantunque molto davanti fosse, da Terenzio prendesse.

MASTRO ANTONIO. Ancora piú? Oh! vo' siu piú doto d'Orlando. Parcere subiectis, quod cadunt alba ligustra: amen dico tibi certa rede coco. MASTRO ANTONIO. Oh bono! oh bono! Hali composti la Magnificenzia Vostra questi strambotti? PRUDENZIO. Al commando della Signoria Vostra. MASTRO ANTONIO. Voi site lo primo omo del mondo. PRUDENZIO. Per grazia vostra, non che lo meritiamo.

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