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E adesso, indovinala, grillo! esclamò il Pietrasanta, come furono nell'atrio del palazzo Ducale. In questo imbroglio, disse Aloise, c'è sicuramente la mano di qualche matricolato furfante. Ma giuro, per l'anima di mia madre, che ne verrò in chiaro, e guai a lui! Ci avrete compagni, Aloise, soggiunse l'Assereto porgendogli la mano, compagni nel giuramento e nelle opere.

E insieme con questi giramondi, quante lezioni improvvisate di storia, alle tre dopo la mezzanotte, sulla piazza di Sarzano, o sotto la torre del palazzo Ducale!

Il diavolo, «l'autore del male», era desso veramente vinto? Ahimè! no. Quando la madre del conte Alberico impegnava suo figlio, con le lagrime agli occhi, a fuggire ed andare ad attendere in uno Stato vicino la revoca del decreto ducale. No, rispondeva egli. Io non ho ricevuto dagli uomini che del male. Voglio vendicarmi di loro. M'ingaggio fra i gesuiti e vado a lavorare all'opera loro!

Un solo anno sedette sul trono ducale Marco Antonio Trivigiano, eletto a successore del Donato nel 1553, cittadino ragguardevole per costumi e per innocenza di vita, liberale in sommo grado verso i poveri e religiosissimo. Niuno avvenimento avendo la pace interrotta, che per molti anni nella Italia godevasi, la sola medaglia per lui coniata non offre nel diritto che il consueto tipo di san Marco seduto, che d

Lungo il passaggio tra un cortile e l'altro, v'era sempre folla. In quello ducale, era una siepe di ufficiali che amavano vedere da vicino queste persone pubbliche che avevano scritto delittuosamente nel giornale socialista, repubblicano, radicale, liberale, cattolico.

Soltanto vedevansi le sentinelle francesi a passeggiare innanzi al palazzo ducale, soltanto udivasi come da lontano il brontolar cupo e irresoluto del tuono, e il cielo oscurarsi sempre più talchè pareva imminente lo schianto della gragnuola.

Spogliato che fu, egli si coricò nel letto ampio, sormontato dalla corona ducale, da cui scendevano fino in terra le cortine di damasco azzurro, con lo stemma degli Urbani intessuto di oro, e non tardò a cedere al sonno. Don Pio destandosi a giorno chiaro vide la testa di Giorgio affacciata alla portiera dell'uscio e credè che egli venisse ad annunziargli Caruso.

Quindici giorni dopo, la campana grossa di San Marco in Venezia batteva tocchi gravi e frequenti, che spandevano un suon lugubre per gran tratto all'intorno. Innanzi al palazzo ducale se ne stava stivata un'immensa moltitudine di popolo. Era un parlare sommesso, un bisbiglio, un susurro incessante, un domandare, un rispondere continuo.

Alzò la testa, abbracciò collo sguardo il prospetto della Piazzetta, il Palazzo ducale, le due colonne del leone e di San Teodoro, la laguna, le barche, l’isoletta di San Giorgio, tutto immerso in un lago di luce abbagliante.

Ma non è così; gridai io. La gabella ducale non c'entra per niente, oppure è molto più tarda. Il fraticello aveva fatto ben altro, da meritare quell'orribile sentenza. Se le signore permettono, la racconterò io, questa patetica istoria, che ricordo benissimo. Da bravo, raccontatela; gridò la contessa Adriana, giubilando e battendo le palme.