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75 Non men di me tormi costei disia di servitù, pur che ne venga meco, che così spera, senza compagnia de le rivali sue, ch'io viva seco. Ella nel porto o fuste o saettia far

Voi! Sapete chi portò al nobile vostro consorte la lettera perfidamente calunniosa, che forse lo ha tratto in furore? Io. Sapete chi tutto questo ha immaginato perchè voi, e vostro marito vi odiaste? Il conte Francesco Cènci. Egli si fregava tutto allegro le mani, e disse: è più facile che una rupe spaccata dal fulmine si riunisca, che la mia nuora torni ad amare Giacomo.

Gloriose per chi le fa, efficaci sovra chi le ascolta riescir debbono le evocazioni dalla tomba e dall'obblio; perchè l'animo de' giovani, ha detto un valente scrittore, è la terra più ospitale alla memoria delle persone illustri. Vedesti, o Bella, il mar su cui combatte Il vento e la tempesta, che la nave Scorge in porto festante?

Ti porto come una cicatrice che duole; ma lacerami, straziami un’altra volta, se dev’essere che tu mi nasca un’altra volta dal mio peggior dolore. Mortella. Dal mio, dal mio sono rinata, dal mio; e come, e con che anima, tu non lo sai. Costanza. Cotest’anima è il mio sgomento. Mortella. Se lo sapessi... Costanza. Bene, ch’io lo sappia.

Il vecchio portò la mano alla fronte come un devoto che accenni al segno della croce; ma il gesto non fu compiuto, e la mano ricadde dalla fronte con disperato abbandono. Buon uomo! disse l'Ascolana, voi sembrate spossato se volete salire nella vettura, noi vi condurremo a Civitacastellana...

Hai ancora mangiato? Si. Che cosa? Chi era? l'altra rispose bruscamente. Un conoscente della mamma, Allora me lo avresti detto subito; non è vero... E gli occhi le si empirono di lagrime; poi un brivido la scosse e con un gesto convulso portò la mano sinistra all'orecchio ammalato.

Infatti, disse un altro, a Venezia sopratutto si devono far cose grandi, per quanto ne udii jeri in porto da gente giunta di l

Il canto di quel gufo era davvero di cattivo augurio: gli avesse a incogliere qualche disgrazia? E gli si presentò dinanzi agli occhi la morte, col suo sinistro riso di scheletro; vide dietro di lei il buio dell'ignoto.... parvegli di sentir grida e gemiti, e fu preso dal terrore: sbattè le palpebre, come per far sparire quella tetra visione, mentre l'anima sua si rimpiccioliva, si rannicchiava basita nel fondo più riposto del suo corpo. C'era un Dio, l'aveva inteso dire: ogni scellerato (ed egli in quel momento riconosceva d'esserlo) doveva render conto delle proprie azioni a Lui, Giudice severo e inesorabile.... Aveva pur sentito parlare d'inferno, di pene eterne, nel fuoco eterno, tra gli eterni gemiti dei dannati.... E il bandito feroce, impasto di iena e di leone; lo strano innestatore che era venuto ad applicar le mazze del brigantaggio calabrese alla pianta incespugliata e rachitica del brigantaggio siciliano; l'uomo alla cui scuola dovevano perfezionarsi Umberto Riggio e Biagio Valvo, i quali a loro volta dovevano formare capi feroci quali De Pasquale, Leone, Rinaldi, Rocca, Capraro, Sajeva, Plaja ed Alfano, si frugò con mano febbrile nel petto, ne tirò fuori l'abitino della Madonna con un sacchetto gonfio di vari santi, e lo portò alle labbra fervorosamente. Allora tentò di scusarsi, d'attenuare la gravit

E quel che mi convien ritrar testeso, non portò voce mai, scrisse incostro, fu per fantasia gi

«Come sono severi quegli occhi chiari!... come sono pieni di rimprovero! susurrava in un soffio. Si portò lentamente la mano destra alle labbra. «Gli ho steso la mano e l'ha toccata a pena!... non l'ha stretta!.. povera mano! La baciò e la lasciò andare inerte. Passò la notte nell'assopimento, rotto da delirio.