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Aggiornato: 28 maggio 2025
E altri tre eserciti s'avanzan di corsa, empiendo il cielo del loro grido. Passano i venti reggimenti rossi del '66, fiancheggiati dalle artiglierie dell'esercito regio, portando in trionfo l'intrepido Lombardi, grondante d'acqua del Chiese, tinta del sangue della sua fronte spaccata, e il fortissimo Chiassi ferito nel cuore, e il temerario Castellina, crivellato di palle a Vezza, e le sue guide e i suoi aiutanti che fecero una barriera di petti fra lui e la morte sulla via di Tiarno, e lo stuolo eroico ch'egli spinse all'ultimo assalto di Bezzecca. E poi un'altra grande ondata di divise purpuree, biancheggianti di polvere, i bersaglieri del Burlando e dello Stallo, i carabinieri genovesi del Mayer, ultimi a lasciare il campo fatale, i lombardi e i romagnoli del Missori, e sovrastanti a tutti, soffocati dalla rabbia e dal dolore, risoluti a morire, il vecchio Fabrizi, Alberto Mario, il Friggeri, il Pezzi, il Cantoni morto, il conte Bolis morto, il Giovagnoli morto; tutto l'esercito di Monterotondo e di Mentana, illuminato da un raggio d'oro della gloria di Roma. E finalmente l'esercito internazionale dei Vosgi, vestito di mille fogge e armato d'ogni forma d'arme, una folla tempestosa d'italiani, di francesi, di spagnuoli, di greci, di polacchi, d'algerini, di soldati stanziali e di volontari e di franchi tiratori e di guardie mobili, che sollevano in alto anch'essi i loro morti gloriosi e le loro bandiere insanguinate, e confondono la loro voce con le voci lontane di quelli che passarono, gridando: Gloria a te, che ci guidasti per tante vie e su tante terre a combattere, sempre per una causa grande come l'anima tua. Gloria a te, sempre il primo ad assalire, sempre l'ultimo a cedere, sempre il più forte nella sventura, sempre il più mite nella vittoria, sempre grande egualmente nell'ira e nell'amore, nella oscurit
Si chinò allungandosi con una finta maravigliosa, poi avanzò d'un passo e uscì arditamente in spaccata; ma la sua sciabola non incontrò quella dell'avversario, barcollò scivolando sul terreno umidiccio e precipitò da sè medesimo contro la sciabola di Andrea.
Mi accompagnò nella mia camera, facendomi traversare un deserto e tetro salone, dove poche settimane prima era caduto un fulmine; le finestre e il camino avevano sofferto, come la parete esterna che si era spaccata, e lasciava scorgere il cielo azzurro. Nulla era stato fatto per riparare in qualche modo a quello sconcio.
Gli avamposti s'erano ripiegati sulle Colonnelle dove erano appostate le fanterie romane; l'attacco si svolgeva su tutta la linea; la fucilata era vivissima da ambe le parti; quando Garibaldi, vista spuntare sulla strada la testa della cavalleria nemica, spiccò il Masina coi suoi cinquanta lancieri ad arrestarla; e il Masina si slanciava seguito dai suoi compagni: ma o perchè sopraffatti dal torrente della cavalleria nemica sei volte più numerosa, o perchè i loro cavalli fossero nuovi a quel vertiginoso giuoco delle cariche, il fatto è che al primo cozzo furono travolti, e voltarono briglia tutti quanti, abbandonando il loro comandante alle prese col colonnello nemico che ne riportò la testa spaccata.
Voi! Sapete chi portò al nobile vostro consorte la lettera perfidamente calunniosa, che forse lo ha tratto in furore? Io. Sapete chi tutto questo ha immaginato perchè voi, e vostro marito vi odiaste? Il conte Francesco Cènci. Egli si fregava tutto allegro le mani, e disse: è più facile che una rupe spaccata dal fulmine si riunisca, che la mia nuora torni ad amare Giacomo.
L'urto che successe fra questi e i prigionieri fu tremendo. Più di venti uomini caddero al suolo, chi colla testa spaccata fino al mento, chi passato da parte a parte dalle lancie, chi orribilmente mutilato, senza gambe o senza braccia. Il suolo s'inzuppò di sangue per trenta passi all'ingiro.
Io allora feci un passo come per varcare il ponte che ci divideva; Don Sancio me lo vietò, gridando: "Fermati, non avvicinarti, non toccarmi; mi faresti cader vivo nel precipizio". Il sole continuava a salire ed il suo raggio a discendere sui macigni del monte, attraversando una rupe spaccata nel mezzo come una gigantesca merlatura guelfa.
Il sole sembrava un arciere appostato dietro la rupe spaccata come dietro una feritoia; l'arciere appuntava lentamente il suo arco verso le pupille del nonno; una saettata di luce vibrò sugli occhi di Don Sancio. Il sole e il vegliardo si fissarono per un attimo come due rivali. La freccia era scattata; Don Sancio era morto.
Parola Del Giorno
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