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Aggiornato: 1 maggio 2025
I lanzi dalla barbuta e dalla corazza di ferro, l'alabarda sopra le spalle vigilavano la sala, e respingevano addietro i curiosi con brutte parole, e peggio fatti: orgoglio ad un punto ed umiliazione antica della gente itala, appo cui è mestieri tirare dal settentrione queste bestie dalla faccia umana per esercitare la forza brutale.
ESSANDRO. Io non son bella né mi curo d'esserci, e mi contento come mi fece Iddio. NEPITA. Se tu ti contentassi come ti fece Dio, non consumaresti tutto il giorno ad incalcinarti la faccia e a dipingerlati di magra, e col vetro o col fil torto trarti i peli del mustaccio. Or puossi dir peggio che femina barbuta? Poi hai una voce rauca, che par ch'abbi gridato alle cornacchie. Sfacciata che sei!
Credo ch'omai d'altro puoi perder poco. ARTEMONA. Tu non l'hai chiamato. Di' che son io, ché mi spedirá, forse. TIMARO. Eccol che viene. Arruffati, barbuta. ARTEMONA. Dio ti facci contento. CRISAULO. E te meschina, donna maestra di non dir mai vero e vender ciancie. ARTEMONA. E perché dici questo? Ancor io non ti intendo.
Quanto al nostro personaggio, vediamo di abbozzarne in pochi segni l'asciutta figura. Appoggiate le mani scarne ma forti sul pomo della spada; accavalciate le gambe lunghe, che mettevano in mostra due stivaloni di cuoio cordovano e due calze divisate di bianco e d'azzurro; ritto il busto nel suo giubbone attillato di cuoio, donde uscivano le maniche di lana, divisate anch'esse dei due colori di casa Fiesca; ritta la testa che pareva tutta in fiamme pel colore della barba e dei capelli rosseggianti al sole; tirata un po' indietro sul cocuzzolo la berretta, anch'essa di cuoio, con larghe frappe di bianco e d'azzurro, sormontata da una gran penna lionata di pavone, il nostro personaggio aveva una bell'aria di vecchio soldato in licenza, felice d'un po' di riposo, ma pronto a gittar la berretta per calzar la barbuta. Non era bello, no davvero; aveva troppo scarno il viso lungo, e gli occhi grigi, quasi bianchi, sotto le ispide sopracciglia rossigne: il naso, poi, che incominciava colla buona intenzione di parere aquilino, finiva in una pallottola rossa, non conveniente di certo alla severit
Benvenuto!... Bentornato fra noi!... esclamò il dottore, con un sorriso cordiale sulla faccia barbuta, stendendo le braccia nerborute a prendere la valigia, a stringere le due mani dell'ospite. Da quanto tempo ci aveva promesso questa desideratissima visita!...
126 Ruggier che la donzella a mal partito vide giacer, non differì il soccorso, or che l'agio n'avea, poi che stordito da sé lontan quell'altro era trascorso: ferì su l'elmo il Tartaro; e partito quel colpo gli avria il capo, come un torso, se Ruggier Balisarda avesse avuta, o Mandricardo in capo altra barbuta.
Si schiuse la porta: un Cavaliere bene avviluppato entro il mantello, con barbuta da soldato in testa, si avanzò nella sala; a considerare quello scompiglio di paura, quei ferri levati, rise forte, aprì il mantello, si mostrò coperto dal capo a' piedi di grave armatura, e: «Riponete i pugnali, Baroni,» disse loro «o che ne troncherete le punte.»
Così non riuscì al Lautrec nè di trarre, per allora, nessuna vendetta di me, nè della duchessa, che s'era chiusa in castello e assai bene fortificata, e due dì dopo, avendo le truppe francesi abbandonato quel paese, anche lui, sebbene per le ferite non potesse reggersi, dovette lasciarsi trasferire in Francia, dove il re lo aveva richiamato, conducendo seco un suo fanciullo di pratica altamente secreta, e intorno al quale correvano per Rimini molte e diverse voci; d'allora in poi più non ebbi ad incontrarmi con lui; ma alla battaglia di Novara, dove la barbuta savoiarda mi ferì a tradimento, subito mi venne in mente il Lautrec, e ho tentato ogni mezzo per cavar di bocca la verit
Gli accorgimenti di Manfredi non dovevano gran pezza durare; egli li aveva operati per sospendere i casi presenti, sapendo che da cosa nasce cosa, e il tempo la governa, e per dare a divedere all'Hochenberg che penetrava i disegni suoi, e poteva renderli vani. Infatti il Marchese pensando che il sottomettersi adesso dopo Manfredi non gli avrebbe fruttato molto utile, stimò meglio mantenersi nemico, ed aspettare occasione di vendere a caro prezzo la sua resa. L'occasione non tardò molto a venire. Vedeva Manfredi la petulanza dei fuorusciti napoletani, Morra d'Aquino, San Severino, che seco lui abitavano in corte del Papa; e con destrezza maravigliosa dissimulava, e gli oltraggi ricevuti altamente nell'animo imprimeva, divisando bene vendicarsene un giorno. Intanto Bonello di Anglone, suo capitale nemico, ottenuta dal Papa la investitura di parte del Principato di Taranto, per la strada di Alesina s'incamminava a prenderne possesso. Manfredi in quel giorno medesimo, avendo saputo che l'Hochenberg con lo esercito si avvicinava, mosse da Teano per andare ad abboccarsi con lui. Volle la fortuna, che per via s'imbattesse in Bonello, il quale tutto orgoglioso si avanzava tenendo la mano dritta del cammino. Manfredi scongiurava i compagni, affinchè adesso lo lasciassero stare, non sarebbe mancato tempo a trarne vendetta; ma essi risposero, che non avrebbero consentito giammai che si facesse un tanto spregio al figliuolo dello Imperatore Federigo. Le due compagnie si accostavano, nè quella di Bonello sembrava volesse cedere; allora Marino Capece, uomo di natura avventata ed amicissimo di Manfredi, trascorse col suo destriero, e percotendo con la mazza ferrata le spalle di Bonello: «Scendi, schiavo,» gli disse «e fa omaggio al figlio del tuo Re.» Questo fu il segnale della battaglia; posero mano alle spade, e cominciarono a menare. Il Principe, da che non aveva potuto impedire che accadesse quel fatto, si studiò che riuscisse felice; e da franco cavaliere spintosi con incredibile furia addosso al Bonello, lo afferra al cimiero, gli scioglie la barbuta che gli difendeva la testa, e col pugnale gli sega la gola: i compagni di Bonello, visto quel caso, fuggono a precipizio. La nuova giunse tosto in corte del Papa, il quale, infellonito per la morte d'Anglone, spedì gente a perseguitare l'uccisore. Manfredi, stimandosi male sicuro all'aperto co' suoi fedeli, si rifugiò nel castello dell'Acerra, dove rimase alquanti giorni. Bertoldo, visto Manfredi in disgrazia del Papa, gli si fece subito nemico, o con tutto il suo esercito ad Innocenzio si vendè. Il Marchese Lancia avvertì il suo nepote Manfredi, affinchè si partisse dall'Acerra. Manfredi adesso ramingo e profugo era venuto in parte che non aveva più terreno che lo sostenesse. Sperava ripararsi in Lucera, ma anche questa citt
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