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Avea un fratello chiamato Carisio Fregoso, il quale sbandito da Genova sua patria per cose di Stato, son quindici anni che non ne ho inteso novella; e mi lasciò in casa un maschio detto Essandro.

Ma se tu fossi lui e t'accorgessi ch'altri ti amassi e si struggesse per te, faresti come gli altri uomini, cominciaresti a star in contegno, far del re e alzaresti la coda. ESSANDRO. Avete il torto, signora, far questa stima di me, che non alzarei piú la coda di quello che fo al presente o feci per lo passato.

ESSANDRO. Benissimo. CLERIA. E digli che s'io potessi, vorrei chiamarlo crudele; che sapendo bene che dalla sua vista gli spirti miei prendono l'alimento della lor vita, e mancandomi la sua vista mi mancaria la vita, perché mi fa carestia di cosa che poco gli importa, e dandomene molto, a lui non scema nulla?

ESSANDRO. Diasi colpa ad amore la cui legge è fuor d'ogni legge: conosco l'errore e, il confesso, merito la penitenza, ne chiedo perdono. GERASTO. Cosí farò io a te: dopo l'errore ne chiederò perdono. ESSANDRO. Questi sono errori di giovani. GERASTO. Ti farò conoscere che sono piú giovane che tu non pensi. ESSANDRO. Amor fu colpa del tutto. GERASTO. Non è amore ove si toglie l'onore.

ESSANDRO. Un poco piú che fusse tardato a partirsi, avrebbe veduto le lacrime ancora, ché non potea piú ritenerle. Fu tanta la doglia che strinse il cuore a questa nuova, che restai tutto conquiso; poi rivenuto e riscaldato, m'andò l'umore agli occhi: sento le lacrime, eccole cader fuora.

ESSANDRO. Oimè, eccoli! quel primo è Granchio suo servo, quel vecchio deve essere Narticoforo. PANURGO. Morfeo, entra con Essandro e vèstiti da femina, attendi a quel che si dice e aiuta al bisogno. MORFEO. L'odor delle vivande ha tratto costui cosí presto; ma tu non n'assaggierai. NARTICOFORO maestro di scola, GRANCHIO.

Io ho un servo in casa, che ha gambe sotto cosí robuste ch'è buon per caminare quattro e cinque miglia per ora, come tu proprio vorresti: te lo darò per marito, e serai madre di mia moglie e padrona della casa. NEPITA. Ne vedrai la prova, che d'oggi innanzi m'adoprerò in tuo aiuto con ogni modo possibile. ESSANDRO. Tuo ufficio sará d'aiutarmi, poiché cosí speranza me ne dai.

GERASTO. Della mia; e se ben è vecchio, è di forza piú d'un giovane. ESSANDRO. Di che fattezze? GERASTO. Come le mie: io e quello siamo come una cosa medema. Conoscilo adesso? ESSANDRO. A questo marito gli sono serva indegna. GERASTO. O come mi terrei felice se queste parole ti uscissero dal core! ESSANDRO. Fa' prova di questa mia volontá.

ESSANDRO. Parla presto, di grazia, che non passi l'ora di trovarmi con Cleria. PANURGO. Voi mi avete detto ch'eglino non si conoscono di vista. ESSANDRO. No; ma la loro amicizia è sol per lettere. PANURGO. Ascoltate, di grazia.

È stata mezana tra Cleria mia figliana e uno Essandro suo parente, che l'ha ridotta a divenir pazza e a menar vita da disperata; s'è attaccata a far l'amor col padron vecchio, e ha posto tanta gelosia tra lui e la moglie che stiamo tutti in scompiglio; l'ha tolto a me, che pur qualche voltarella mi recreava, di che mi scoppia il cuor di gelosia. Ma dove mi sei sparita dagli occhi, mona Fioretta?