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DOTTORE. Questa è dessa: non bisogna piú dubitare; e io son quel dottor Carisio che tu dici. Ma dimmi, come è stata allevata la fanciulla?

APOLLIONE. Tu dunque sei Carisio mio fratello? o che dolcezza è questa! sogno io o vaneggio? GERASTO. Ah, ah, ah! NARTICOFORO. Ah, ah, ah! certo che sogni e vaneggi. APOLLIONE. Per che cagione? GERASTO. Questi che voi non conoscete, si trasforma in qualunque uomo ei vede: per uscir dall'intrigo dove adesso si ritrova, subito s'ha finto tuo fratello.

Avea un fratello chiamato Carisio Fregoso, il quale sbandito da Genova sua patria per cose di Stato, son quindici anni che non ne ho inteso novella; e mi lasciò in casa un maschio detto Essandro.

ISOCO. La fanciulla non se lo poteva ricordare, che non giongeva a duo anni. Ma io l'ho inteso dir mille volte da Galasia che la madre si chiamava Brianna e il padre il dottor Carisio. DOTTORE. O Dio, che intendo? son desto o sogno? Ma tu come sai questo? a che effetto sei venuto qui in Napoli?

Vi vo' prestare il mio nome di Carisio per un anno, per quattro e dieci, e non ne vo' cosa alcuna che me ne abbiate pur un minimo obligo. NARTICOFORO. Certo che sète uomo frugi e di molta comitate: d'oggi innanzi vi vo' per ero e per amico. APOLLIONE. Vengasi di grazia all'altra ingiuria che avete ricevuta.

APOLLIONE. Suo nome Essandro, suo padre Carisio, io Apollione; e se ben perdemmo in quel conflitto molte robbe, pur non siamo tanto poveri che in casa nostra non sieno trentamila ducati. PANURGO. O fratello carissimo, Apollione desiato lungo tempo di rivedere! benedetti questi legami di carcere e le disgrazie, poiché in esse mi tocca di rivederti!

NARTICOFORO. Io mi contento e plus quam contento che sia Ersilia di Cintio, che quella piú di Cleria io exoptava. GERASTO. Io ti scioglio, Carisio caro; e ponendoti tu in mio luogo, credo che essendo onorato, come ti stimo, aresti fatto altrotanto a me. Ma chi è quello cosí contrafatto che mi avete condotto in casa?