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In un punto ha raddoppiati tre: non gli deve bastar lui solo, vuol servir per tre persone. GERASTO. Ah, ah, ah! NARTICOFORO. Ah, ah, ah! FACIO. Voi forse ridete di me? NARTICOFORO. Anzi, noi ci ridemo di noi stessi. A costui ha dato ad intendere ch'era me, a me ch'era costui: e cosí ha sicofantati tre.

MORFEO. Ah, poltron asino, che m'hai cieco! se ti giungo! O viro probo, arrige aures a quel che dico. GERASTO. O son sordi o dormono. NARTICOFORO. Perché battete quel ostio con tanta veemenzia? GERASTO. Perché ho voglia d'entrare. NARTICOFORO. Voi dovete esser forastiero e l'arete presa in cambio.

GERASTO. Non le fará mancar da mangiare. ESSANDRO. questo le manca in casa sua. GERASTO. E perché è un poco infermo, non gli dará tanto fastidio. ESSANDRO. Le moglie vogliono questi fastidi. GERASTO. Dargli poca dote è pur buona cosa. ESSANDRO. Per non scemar voi la vostra borsa, volete far sempre star vôta quella di vostra figlia.

NARTICOFORO. Eamus, ch'io vo' concomitarti insino al luogo; bisogna escusarti poi: Ita mihi videre videbatur, mi parea un altro Gerasto, e mi parea che dicesse cosí, mi pensava cosí. Turpe est dicere: «Non putaram», perché una buona ferola fará le mie vendette.

NARTICOFORO, capitan DANTE, GERASTO, capitan PANTALEONE. NARTICOFORO. Ecco il vecchio mio inimico, capitan Dante; bisogna mostrar valore! DANTE. Boto á Dios que soy la mayor gallina covarde que hay en el mundo. Pero yo dissimularé cuando pudiere. PANTALEONE. Yo estoy aquí. DANTE. Y yo también estoy aquí. PANTALEONE. ¡Sus, á las armas! DANTE. ¡Sus, á las manos! PANTALEONE. Llegaos, fanfarron.

GERASTO. Or questa è bella, che un forastiero dica ad un cittadino che è forastiero, e gli vogli insegnar la sua casa! Heu fuge crudeles terras, fuge littus avarum! GERASTO. Perché mi dite voi questo? NARTICOFORO. In questa casa ci è la peste, e ponendovi la testa dentro o toccando la porta, s'apprende. GERASTO. Penso che voi vogliate darmi la baia.

SANTINA. «Chi ti fa quello che far non suole, o t'ha ingannato o ingannar ti vuole». GERASTO. Non si può star sempre ad un modo, moglie mia cara. SANTINA. Oh come odori di muschio, mi pari una profumeria. GERASTO. Passando per la bottega di maestro Cesare profumiero, mi spruzzò un poco d'acqua nanfa sul volto. SANTINA. Non so chi mi tiene la lingua. GERASTO. Lasciamo il ragionar di questo adesso.

Conosci tu Gerasto medico, un certo uomo da bene? MORFEO. Io non conosco niuno uomo da bene. Che ho a far io con loro? io non prattico se non con ribaldi, perché mi danno da mangiare. Ma perché non andiamo a tavola e diamo una batteria a quel tuo apparecchio? PANURGO. È troppo mattino. MORFEO. Anzi mangiando presto la mattina, ogni cosa ti riesce a proposito quel giorno.

NEPITA. Poiché siam venute su questo, vo' che il dica: se non, che ci daremo infino a tanto delle pugna che ne sputiamo i denti. ESSANDRO. Ti duoli di me che t'abbi tolto il padron vecchio Gerasto, che prima era tuo innamorato. NEPITA. Oh, lo dicesti pure! ESSANDRO. Ma se tu sapessi la cosa come va, non mi porteresti tanto odio, non aresti gelosia di me e m'amaresti come amo io te.

ESSANDRO. Sei tu tanto ingordo del mio sangue? GERASTO. Non è sangue che si sparga con maggior dolcezza di questo. ESSANDRO. Abbi pietá della mia gioventú! GERASTO. Tu della mia vecchiezza! ESSANDRO. Avertite che sono nobile. GERASTO. Se fussi di schiatta d'imperadori, non lascierei di far quello che m'ho proposto di fare.