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Aggiornato: 19 giugno 2025
PANURGO. Confesso esser vero quanto dite; ma quello che è fatto, non è stato comandato dal mio padrone? conviene al servo far ciò che gli comanda il suo padrone. GERASTO. Conviene ad un uomo da bene non dispiacere ad alcuno per far piacere ad un altro. PANURGO. Lece al servo far ciò che vuole il padrone. GERASTO. Questo servo ne pagherá la penitenza.
APOLLIONE. Ogniun crede facilmente quel che desia: il desiderio immenso di trovar mio fratello me lo fe' subito credere. PANURGO. Deh, Apollione mio caro, non mi raffiguri tu ancora? ha potuto tanto l'assenza ch'abbi posto in oblio la mia conoscenza? GERASTO. Oh, vedete come piange, vedete che lagrime spesse! NARTICOFORO. Se fusse donna, non arebbe cosí le lagrime a sua posta.
NEPITA. Se stesse qui, non anderei caminando. NARTICOFORO. Dove stai dunque? NEPITA. Dove mi fermo. NARTICOFORO. Dico se sei di qua. NEPITA. Giá, non son d'oltramare o d'oltra i monti. NARTICOFORO. Dico se stai in questa casa. NEPITA. Se stessi in questa casa, non starei in piazza. NARTICOFORO. Vo' saper se stai con Gerasto. NEPITA. Se sto teco adesso, come posso stare con Gerasto?
NARTICOFORO. Vuoi tu un buon consiglio? scostati da quella porta, perché ti appestará. Gerasto. Vuoi tu un miglior consiglio? non trattar di quello che non sai, altramente sarai giudicato di poco consiglio e di manco cervello.
GERASTO. Tu non ti intendi di matrimoni, a pena sai filare; attendi a filare. SANTINA. E tu attendi a medicare. Ma qualche cosa ci è di sotto: non stimi ch'io abbi prima pensato a quello che tu pensi? Se tu mi tenti... GERASTO. Che cosa? SANTINA. Vuoi che dica? GERASTO. Di' tosto. SANTINA. Quella... GERASTO. Chi quella? SANTINA.... che tu sai... GERASTO. Che so io?
GERASTO. Non è piú infelice vita al mondo di quella d'un vecchio e innamorato; ché se la vecchiezza porta seco tutte le infirmitá e imperfezioni, amor tutte le doglie e passioni ch'una di queste non bastano diece persone a sostenerle, or pensate queste due in un sol uomo quanti travagli gli ponno dare.
GERASTO. Menti per la gola! parla piú chiaro, bestia! SANTINA. Non m'hai guasto e consumato tutto il correrio che hai avuto dietro la dote? GERASTO. Quattro stracci fradici. SANTINA. Non sono io nobile? non sei tu un povero medicaccio? GERASTO. Se non fusse stato per me, i tuoi parenti sarebbono morti mille volte di fame. SANTINA. Or vo' cominciare a farti conoscere chi son io.
GERASTO. Io mi parto non cosí mio come tuo; e amami, se ti par che l'amor mio lo meriti. Va' e da' questa buona nova a mia figlia, fatti dar la mancia e confortala a far la mia volontá. Oh, come sei tramortita! sará stato l'allegrezza della nuova che ti ho data? Fatti far una fregagione alle gambe, ché non sará nulla. ESSANDRO solo.
APOLLIONE. Tu dunque sei Carisio mio fratello? o che dolcezza è questa! sogno io o vaneggio? GERASTO. Ah, ah, ah! NARTICOFORO. Ah, ah, ah! certo che sogni e vaneggi. APOLLIONE. Per che cagione? GERASTO. Questi che voi non conoscete, si trasforma in qualunque uomo ei vede: per uscir dall'intrigo dove adesso si ritrova, subito s'ha finto tuo fratello.
GERASTO. Se tu sei Narticoforo e te ho lodato, mi sono ingannato e ne mento per la gola. NARTICOFORO. Non mi sono ingannato io di te, che ho detto quel che sei. GERASTO. Narticoforo e suo figlio sono in casa mia; e ti farò veder la veritá quando vorrai. NARTICOFORO. Quando venne in tua casa Narticoforo? GERASTO. Poco innanzi; han pranzato e or si stanno a riposare per lo viaggio fatto.
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